Il pensiero di Alvise

Nelle prossime pagine sarà possibile leggere alcuni dei temi scritti da Alvise durante il periodo scolastico delle medie inferiori, superiori e negli ultimi anni degli studi universitari su argomenti che ci ripropongono una lettura della nostra società afflitta da problemi che sia pure a distanza di qualche anno sono ancora oggi di grande attualità ed emergenza per il nostro paese.

Alcuni di questi scritti sono stati pubblicati su giornali e riviste.

 

Addio lira: il grigiore della concretezza
Il Ricordo – Pensiero

Articolo pubblicato sul quotidiano “Nuova Venezia”  in data Gennaio 2002

Gentile Direttore, le scrivo per discutere insieme sulla decisione di porre fine al lungo cammino della lira da parte dell’Unione Europea per dar vita all’euro. Guardando un po’ alla storia della prima notiamo che il nome lira deriva dal latino libra, (libbra) che per i romani era un’unità di peso pari a 327,45 grammi. La lira divenne unità monetaria solo più tardi con l’introduzione, da parte di Carlo Magno, della libbra “pesante” (408 grammi), nel 793 d.C. Per molto tempo infatti, la Lira non è esistita fisicamente come moneta, ma dato il suo alto valore, fungeva solo da “unità di conto”. Anche a Venezia la adottano nel XVI secolo ma la prima vera e proprio Lira Italiana (basata sul sistema decimale 100 centesimi = 1 Lira) fu coniata da Napoleone nel 1808, il sistema decimale fui poi recepito nel Regno di Sardegna e con esso si diffuse in tutta Italia e divenne moneta nazionale  al momento dell’unificazione del 1861. Terminata questa indispensabile parentesi storica  arrivo al dunque,  non crede anche lei che la scomparsa della nostra moneta sia un lutto? Come la perdita di una duplice identità: quella di un individuo e di una collettività, lo “stato” e la “zecca italiana” che emettono monete e banconote “italiane” per “tutti gli Italiani”. A mio avviso chi sottovaluta il problema del distacco, della fine di un’epoca, rischierebbe di non comprendere un evento emotivo, individuale e collettivo di grandissima portata. Psicologicamente è come aver definitivamente abbandonato un codice monetario di scambi, rassicurante, espressione, di una unità con le altre persone, familiari e non, per accettarne uno “sconosciuto”. Non pensa anche lei che per l’introduzione di questo nuovo codice monetario l’euro, di comunicazione e scambio, simile, forse, ad un parente acquisito e sconosciuto, ci volesse un referendum, che fosse l’espressione democratica del volere popolare? Ora temiamo di ricevere un trattamento che mette a rischio le nostre sicurezze. È una novità che sembra impoverirci; che sembra dividere a metà e, poi, diluire in centesimi le tonde garanzie dei nostri prezzi. E poi diciamocelo pure è una moneta scomoda, è di questi giorni la notizia dell’incidente, per fortuna a lieto fine, di un bambino di Vigevano che ha ingoiato una monetina di 50 centesimi. È una moneta che ci fa temere di essere truffati, non pensa? Si sente il peso di un funerale di cui non si può perdere il controllo della situazione. Vogliamo capire tutto, volgere la sfortuna di una moneta così diversa dalla nostra , quasi una malattia, nel controllo che non consenta al “contagio” della paura per la morte della lira, di impossessarsi di noi. Così, per l’angoscia antica della fine per la quale è, ci può prendere. E abbiamo bisogno di verifiche, di conferme, di controlli, di rituali, individuali e collettivi che si ripetono del tipo perché certi registratori di cassa hanno già eliminato il doppio prezzo Euro – Lira, nel tagliando fiscale? Non è ancora tempo!Per concludere volevo informare i Suoi lettori che la lira non è ancora definitivamente morta, che a febbraio 2002 sarà messa in vendita naturalmente per i collezionisti l’ultima moneta che la zecca l’anno scorso ha stampato per il centesimo anniversario della Morte del compositore italiano, Giuseppe Verdi e che riporta da un lato la sua l’effige e dall’altro una facciata del Teatro la Scala di Milano. Dunque un addio patriottico sulle note del “va pensiero”, per la lira. Addio lira! Come diceva il poeta Cardarelli, “la vita è mutevole tempo”, e anche tu non ci sarai più ma ci mancherai e tanto.

Amore e poesia da sempre insieme
Il Ricordo – Pensiero

La storia dell’amore nella tradizione poetica del medioevo è cosa splendida, per la vastità dei messaggi che il poeta esprime all’interno di un mondo chiuso come quello del ‘200. L’amor cortese, è lo stile che inizia un’avventura letteraria che porterà sino alla scuola toscana, il massimo livello della letteratura medioevale. L’amore è l’elemento fondamentale di ogni scuola anche se spesso soggetta a cambiamenti che evolvono lo stile letterario, la modificano e ne ampliano gli orizzonti. L’amore, legato alla vita feudale, cavalleresca è senz’altro l’elaborazione dell’ideale cortese e la poesia tratta in esso, esalta il culto della bontà, dell’amore e della bellezza. Dunque, l’amore è certamente arricchito da forme di galateo che mobilitano lo spirito dell’uomo cavaliere e dell’amata.
Tutto si confonde in un gioco assai astratto di interiorità d’animo: il mito dell’amore come unico simbolo di pace e di bontà, capace di riunire i popoli. Successivamente segue la scuola provenzale, dettata dall’influsso dei poeti francesi, ricchi di amore e portatori di un amore estremamente sofferto, ma confortante nei suoi molteplici aspetti. L’uomo si sacrifica nelle crociate e la sua bella amata ne aspetta il ritorno, amandolo sempre più. L’elemento che maggiormente mi ha colpito è stata la necessità di amare per ingentilire l’animo, queste poche righe segnano il bisogno primario anche della società odierna, del nostro costume di vita che ha ancora moto bisogno di amore, in un mondo spesso volgare e dilaniato da guerre senza fine, la guerra bosniaca è un chiaro esempio della mancanza e della necessità di questi valori. Un amore italiano e differente dai precedenti si coltiva alla corte di Federico II re di Svevia, il grande condottiero del Regno delle due Sicilie. Anche in questo tipo di poetare risulta singolare un’affermazione pur semplice ma ben articolata del testo di letteratura. La poesia siciliana è uno stile chiuso, di serra, ma magnificamente, dotata delle più assoluta forma di amore gentile. L’amore nei confronti della propria donna stessa diviene per volontà umana un essere divino e superiore. Ella è abbellita dalla musica e dalla gioia di amare che nutre gelosamente nel proprio cuore nei confronti dell’uomo.
Se si leggono profondamente i versi dei vari autori,  si resta incantati da questo stile, capace di fornire emozioni, sensazioni e ammirazioni, per un mondo fino ad ora mai esplorato, quello dell’amore. La nostra lunga avventura nel “pianeta – poesia” ci porta finalmente alla scuola più ammirata della nostra letteratura, la scuola toscana, dove non manca un laborioso lavoro e il gusto malinconico dell’amore che si rifarà ai tempi antichi.

Alcune impressioni sul primo canto del Purgatorio
Il Ricordo – Pensiero
Dante nel suo viaggio spirituale nell’aldilà, giunge alla montagna del Purgatorio, che ad Ulisse il pagano, era apparsa soltanto come un lontano desiderio inappagato. Il cristiano Dante, lasciandosi guidare, lungo questa strada dalla Grazia divina, che gli impone le “Tappe obbligate” del percorso, si inoltra con la sua immancabile guida morale, Virgilio, nel Purgatorio,  nel regno della rigenerazione totale del proprio essere, che si ottiene spogliandosi di tutto ciò che di terreno, resta nell’animo, nell’intento di acquisire una nuova purezza dell’anima, fatta a immagine e somiglianza di Dio.
Pare evidente che per poter comprendere il significato del Purgatorio Dantesco, nella sua più profonda struttura, bisogna analizzare sempre l’immenso patrimonio di valori morali, che Dante esprime nella sua opera ed in particolar modo nell’introduzione del primo canto.
Il Purgatorio quindi è il contrario dell’Inferno, essendo una “strada” e non uno stato definitivo e perenne, poiché esso è un luogo di transizione. Infine nel primo canto vi è un evento di notevole importanza: il dialogo fra Dante e Catone Uticense, meravigliosamente descritto dal poeta. Così Dante uscito dalla “aura morta” dell’Inferno, scopre improvvisamente il fascino della luce e la bellezza sconfinata del cielo che assume un magico e incantevole colore azzurro, mentre Catone, a mio parere, è una figura di considerevole rilievo. Egli è il fiero oppositore di Giulio Cesare ed eroicamente preferì uccidersi piuttosto che sottostare al dominio del suo imperatore, che limitò l’antica libertà della Roma repubblicana.
È di grande valore umano, questo tragico gesto che evidenzia l’amore per la libertà, un gesto che mi ha molto colpito, e Dante attribuisce a Catone la meritevole sorveglianza del Purgatorio.
Ci potrebbe colpire la scelta di un pagano suicida per un compito così intimamente cristiano, ma Catone Uticense è uno dei tanti esempi di come Dante sia aperto a qualunque grandezza morale, da qualsiasi parte essa provenga.
In effetti il suicidio di Catone è dettato solo dalla sua spiccata nobiltà d’animo. In Catone intravedo il più puro esempio del sacrificio umano egli infatti fugge dal male, per cercare il bene, e questo gesto dignitoso lo avvicina alla beatitudine di Dio e alla conseguente salvezza dell’anima. Il primo canto del Purgatorio diventa così l’inizio di una splendida avventura, completamente diversa dall’Inferno, che Dante affronta spiritualmente nel regno dell’oltre-tomba, e grazie alla Divina Provvidenza, il suo viaggio continuerà ininterrottamente.
Le anime del Purgatorio Dantesco vivono con gioia le pene a loro inflitte, perché esse le purificano. Vi è inoltre la piena consapevolezza che le pene non sono eterne e che preparano le anime alla purezza e alla santità di Dio. Quindi, a mio parere dalla lettura di questo primo canto, posso definire il Purgatorio come la via che conduce al ritrovamento di sé stessi, accentuando così la pienezza della propria umanità, quel sentimento che ha la capacità di rendere l’uomo profondamente uomo.
Metti a confronto il Medioevo e l‘Umanesimo
Il Ricordo – Il pensiero di Alvise

Metti a confronto il Medioevo e l‘Umanesimo quali sono i caratteri essenziali di queste due epoche, e le differenze essenziali fra loro

Il confronto fra due epoche: Medioevo e Umanesimo è cosa interessante, poiché fornisce la possibilità di commentare il ciclo di due culture completamente differenti fra loro e portatrici di atteggiamenti, mentalità e costumi del tutto singolari nei loro molteplici aspetti.
Il Medioevo rappresenta un’epoca che inizia con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.c. e termina il suo ciclo con la scoperta dell’America nel 1492, ed è stato un periodo di profondi cambiamenti all’interno di un mondo romano ormai ampliamente decaduto.
Nel frattempo il cristianesimo ha introdotto mutamenti nella concezione filosofica di tempo fra spazio ed eternità. Questa seria rivoluzione ideologica voluta dalla storia, aveva un solo obiettivo: raggiungere, soffrire e amare l’unico “re dell’universo”: Dio.
La vita terrena, si trasforma rendendosi all’uomo come un amplio spazio di tempo dedicato alla riflessione e alla divinazione di Dio. Gli stessi uomini che vivono il Medioevo sono differenti dai precedenti, essi soffrono di non conoscere l’aldilà, di non conoscere le loro sensazioni corporali e i loro sentimenti che a volte si possono allontanare dal credo ecclesiale del tempo. La sofferenza, il tormento per il proprio corpo e la vita terrena si realizzano nelle paure dell’uomo di quest’epoca, così dedito alla contemplazione verso la propria anima e la propria intimità spirituale.

Alla ricerca di una pace che non c’è
Il Ricordo – Pensiero
Alle soglie del 2000, la pace è certamente il dono più prezioso che sia concesso all’uomo, ma purtroppo sappiamo che non è tutto così semplice e lineare e fin dall’antichità il termine guerra voleva significare morte e distruzione e così gran parte delle popolazioni esistenti al mondo hanno sperimentato direttamente questa arma tagliente che umilia e degrada lo spirito e la moralità del genere umano. Attualmente molti contrasti pongono intere popolazioni alla disperazione e alla tragedia, come per esempio nella Jugoslavia, frantumata da molteplici delitti di sangue dove ogni giorno vi sono migliaia di morti senza far distinzione fra donne, giovani e uomini. Questa gente è vittima di una guerra fratricida fra fazioni di eserciti militari che vogliono dividere questa nazione già distrutta dal dolore per l’ingente perdita di oltre 2000 persone. Guerra dunque come sinonimo di distruzione, e lo spirito dell’uomo che è tendenzialmente malvagio, si sbizzarrisce creando dalla propria gente dei soldati di morte.
Questi messaggeri di una amara esistenza posseggono tutte le armi possibili ed immaginabili, fuorché certamente l’intelligenza. Infatti la lettura dei giornali ci informa che solamente a Ragusa, Zagabria e a Zara la gente è prigioniera, i cecchini invadono le piazze e le strade sono minacciate da altrettanti strumenti di morte. La gente a differenza dei suoi leader è umiliata e  indegnamente ha sofferto troppo in questi anni e ora cerca di cambiare il passato nella speranza di un avvenire più  sereno per l’intera umanità.
Assistiamo ad un grido unanime di solidarietà che circola nel mondo ma che sembra essere perennemente  ostacolato da interessi di parte e dalla predominante sete di potere che molto spesso è a capo di guerre interminabili. Continuando nessuno si può dimenticare il conflitto di due anni fa fra il Kuwait e l’Irak. Quella è stata una tipica guerra che mirava a interessi economici per motivi ben precisi: il petrolio. E ciò dimostra che la guerra è stata da sempre parte integrante della vita politica di molte nazioni che speravano e sognavano nuovi orizzonti.
È il caso del fascismo dove i regnanti vedevano che l’unica soluzione di prestigio era quella di conquistare terre e diventare protagonisti a livello internazionale. A distanza di tanti anni è difficile trarre un bilancio di questi eventi ma io auspico che nel futuro prossimo del nostro paese ma anche dell’intera umanità, regni la pace nella politica e nel pensiero. Cosa sarebbe la vita senza la pace? Credo, una tetra dimora di sopravvivenza: così si potrebbe  codificare un’affermazione di tale genere.
In sintesi, la vita e la pace in sé sono gli unici elementi in cui l’uomo deve credere per approdare in una esistenza serena e consona alle esigenze dell’individuo all’interno della società. Ed ora sta a noi organizzarci per il meglio sperando che la pace se ottenuta e voluta dall’insieme delle persone e non dal singolo possa finalmente sconfiggere la guerra fratricida fra i popoli.
Lavorare è bello ma a quale prezzo?
Il Ricordo – Pensiero

Il mondo degli adulti è certamente difficile, con molti aspetti positivi e negativi, in quanto racchiude gioie, soddisfazioni, dolori e amarezze che la vita riserva ad ogni individuo dalla nascita fino alla morte. In tutti però si può riscontrare la voglia di riuscire in quello che poi diverrà il proprio  lavoro.
Sacrificio dunque, come primo elemento di una società che tende a mutare la sua conformazione e la sua cultura.
Il lavoro, per ambizione o per dovere si è esteso negli ultimi decenni anche al mondo delle donne, diventando parte integrante di questo sistema di vita che vede il consumismo sempre più in primo piano così il cambiamento della vita delle famiglie è diventato radicale: meno figli, meno tempo libero da dedicare ai propri cari. Tutto ciò comporta una profonda diversità nell’educazione dei figli, nella società di oggi. La madre non è più la vera protagonista dell’ambiente casalingo ma, sempre più spesso viene sostituita da immancabili baby sitter o uomini, che devono accudire i figli, pretendendo a loro volta una cospicua retribuzione.
Questa fotografia dei tempi  moderni potrà far resistere a lungo questo tipo di società, ed è  perciò che sembra attendibile un ritorno dei valori familiari di schema tradizionale.
Come scrivono gli storici, ogni guerra vinta comporta anche delle sconfitte e quindi anche i successi dell’evoluzione del progresso, in tutti i settori della nostra vita quotidiana, comportano un prezzo che, avvertendo un senso quasi di disagio, molti oggi non sono più disposti a pagare e probabilmente in futuro saranno molti di più.
Nel frattempo nonostante le critiche relative al consumismo e allo stile di vita quanto mai frenetica personalmente ammiro tutto ciò che si è sviluppato con l’evoluzione tecnologica che di anno in anno perfeziona il modus vivendi dell’intera umanità. Il mondo della medicina ne può essere un chiaro esempio, basti pensare che cinquanta anni fa si moriva di tubercolosi, di malattie infettive, e di tutte le malattie che oggi grazie al progresso possono essere facilmente curate.
Dunque, la nostra generazione si trova a doversi assumere una pesante eredità e una notevole responsabilità. Fra pochi anni ognuno di noi con il proprio studio, potrà compiere delle scelte e solo in base ad una forte volontà di cambiamento il mondo potrà esprimere forti valori, altrimenti continueremo a correre, lasciando ai lati del nostro percorso, affetti e entusiasmi per tutte quelle piccole cose che rendono la vita certamente più attraente ma anche meno serena e tal volta meno amara.

Laura Esquirel: dolce come il cioccolato
Il Ricordo – Pensiero
Finalmente un romanzo che appassiona e anche se è un romanzo tipico è portatore di una scrittura di una autrice molto interessante che contribuisce all’evoluzione del nuovo romanzo ispano – americano. Assume una posizione lontana dall’adesione ai canoni che legittimano la voce della donna. Non corrisponde a nessun stereotipo di scrittura ed esprime la posizione della narrativa attuale. È una scrittura che sovverte i paradigmi e mette in discussione qualsiasi egemonia, ironizza, demistifica, ed umanizza spazi dimenticati essenzialmente è un tipo di scrittura anti-autoritaria.
Si avverte dunque un tema sovvertitore. Il regno è la cucina e nel frattempo si assistono ad avvenimenti più importanti, frammenti ed aspetti e realtà complesse, che esistono in qualsiasi globalizzazione. Tutto ruota attraverso le ricette, ma si avverte però la frammentarietà. È una letteratura che trae origini dal Bolero Cinema e forma la letteratura contemporanea.
Nel novecento non ci sono più storie da raccontare: “ A tavola e nell’alcova si invita una volta sola”, queste sono le due tematiche del romanzo. Questo è dunque un romanzo scritto con freschezza ed ironia ed è un romanzo dalla struttura originale e curiosa: dodici capitoli abbinati ai mesi e costruiti attorno ad altrettante ricette, per rievocare un’intangibile e contrastata passione amorosa.
Fin dal loro primo incontro Pedro e Tita vengono travolti da un sentimento più grande di loro: l’amore.
Purtroppo a causa di un’assurda tradizione famigliare per Tita il matrimonio è impossibile, ma per umana volontà lei e Pedro si ritrovano a vivere sotto lo stesso tetto come cognati, costretti alla castità e tuttavia legati da una sensualità ancora più accesa. Nasce così una lunga serie di peripezie che sarebbe ingiusto (ed impossibile) poter riassumere: basti pensare che lo scenario è quello del Messico, d’inizio secolo, messo a soqquadro da Pancho Villa, e che i protagonisti sono anche l’inflessibile madre e due sorelle di Tita, le domestiche Nacha e Chencha, un affascinante ufficiale ribelle, un medico di buon cuore e una moltitudine di persone, fantasmi e animali.
Questo paesaggio ricco di magie e passioni il cibo rivela appieno i suoi significati, i suoi segreti e i suoi poteri: perché le squisite ricette preparate da Tita affondano le loro radici in un passato mitico, che non ha perso il suo vigore, perché quest’antica sapienza ha infuso negli accostamenti degli aromi la capacità di accendere risvegliare: desideri, ricordi e sentimenti, perché questo parlare è diventato impossibile, torte di compleanno e peperoni farciti alle noci, timballi battesimali e quaglie ai petali di rosa,  possono trasmettere lusinghe e dichiarazioni, confessioni e seduzioni, fino a diventare il veicolo di una inedita comunione erotica.
Frutto di una godibile sapienza narrativa e di una raffinata arte culinaria, dolce come il cioccolato racconta con grazia, e allegria femminili una indimenticabile storia d’amore, in cui il cibo diventa metafora e strumento espressivo, rito e invenzione, promessa e godimento.
L’incanto della parabola di Kafka
Il Ricordo – Pensiero
La lettura ricopre un ruolo considerevole nella vita dell’uomo, che interessato, ricava, preziosi messaggi culturali che lo scrittore trasmette al lettore, diventandone così la fonte primaria di ogni sapere.La lettura riveste la maggior parte del mio tempo libero, dopo lo sport e altri interessi. Il libro che ho recentemente letto e che mi ha fornito molteplici tematiche e riflessioni, è stato “il processo” di Josef KafKa, il capolavoro dello scrittore praghese che più di ogni altro ha dato voce ai dubbi, alle angosce, alle inquietudini dell’uomo moderno.Josef Kafka rispecchia pienamente l’umore letterario degli uomini del primo novecento e questo si riflette chiaramente nella trama del libro. Qualcuno doveva aver calunniato Josef Kafka , poiché senza che avesse compiuto alcunché di male, in un grigio e triste mattino invernale, venne arrestato, privo di motivazioni logiche e di una compiuta analisi dei fatti.Comincia così, l’interminabile odissea giudiziaria e proprio con questo formidabile epilogo, prende forma il capolavoro narrativo di Kafka.Il processo, è forse il romanzo che negli descrive l’angosciosa condizione dell’uomo, in una società divenuta ormai troppo complessa, vissuta come un freddo meccanismo implacabile e indifferente a qualsiasi valore umano.Con l’arresto del giovane Kafka, cominciano anche una interminabile serie di guai che attendono, questo ignaro trentenne impiegato di banca, ad affrontare le tortuose vie della vita, finito senza sapere perché né per come, nelle strette maglie della giustizia. L’elemento primario che risalta nel “processo” è il sentimento di angoscia e della privazione totale della libertà, da sempre il bene più importante per ogni uomo.L’angoscia è dunque per Kafka il frutto della paura del nulla che ogni uomo nutre nel proprio animo, della mancanza di qualsiasi forma di libertà individuale.Inoltre mi ha particolarmente colpito anche una singolare citazione dello scrittore che dice:se sono condannato, sono non solo condannato a morire,  ma anche a difendermi fino alla morte. Questa affermazione dimostra la forza interiore di non cedere alla brutale realtà dei fatti, e l’estrema tenacia di un giovane ormai disperato, senza il proprio lavoro e privo dell’affetto dei propri cari.Questa assurda avventura, si trasforma in un incubo,  nel quale viene definitivamente annientata la propria dignità di uomo, che imperterrito è costretto a revisionare ogni scelta di vita proiettandosi in un futuro tenebroso, dove diviene sempre più arduo il tentativo di far luce al proprio infelice destino. Eppure nonostante i molteplici tentativi, nessuno riuscirà mai a spigargli il motivo del processo che un’autorità giudiziaria, incalzante ed enigmatica, gli ha intentato.Così lo sconsolato Josef Kafka, ispirato soltanto da un forte orgoglio personale, persegue una seria campagna di difesa. Trascura il lavoro per studiare le carte processuali, corre senza pace da un capo all’altro della città, in cerca di avvocati che potessero percepire la sua precaria situazione, di uomo defraudato dal sistema giudiziario.Purtroppo ogni tentativo si rileva invano al suo desiderio di salvezza e Josef Kafka avverte la misura della propria reale insufficienza e percepisce il proprio isolamento.L’organizzazione giudiziaria si rileva un gigantesco, impenetrabile muro di gomma, mentre la città assomiglia inspiegabilmente, sempre di più ad un immenso tribunale, in cui tutti sono misteriosamente a conoscenza del processo.Così dopo mille avversità che il destino gli ha riservato, abbandonato da chiunque prima lo conoscesse, Kafka, questo giovane bancario ferito nel proprio animo, i rassegna ad accettare passivamente una condanna che lui stesso, senza saperne il motivo, ritiene irrevocabile.A mio parere è impossibile non subire il fascino della parabola di Kafka, poiché intravedo una moltitudine di sentimenti, vi troviamo il senso della solitudine, della colpa umana, di una verità degradata, dell’angoscia personale, verso un mondo troppo ostile alla libertà, della impunità di un sistema corrotto, di una realtà quindi vista come una rete infinita di inganni che imprigionano l’uomo.Il “processo” racchiude qualcosa in più, contiene il destino di un modesto impiegato che scopre, improvvisamente, la propria sistematica rinuncia agli affetti, e afflitto da un incessante dolore, egli immagina utopicamente il trionfo della sua innocenza, era immediatamente quando la realtà si manifesta negli aspetti più atroci, egli abbandona la lotta e la sfida al destino.
Dopo “Tangentopoli” una primavera che porti giustizia e serenità nel nostro paese
Il Ricordo – Pensiero

Negli ultimi anni si è parlato sempre di più dei problemi del nostro paese, in tutti i campi, dall’economia alla sanità, dai trasporti al lavoro, dall’istruzione ai mezzi di comunicazione e così di seguito, fino alla cosiddetta “tangentopoli” e del pool denominato “mani pulite”.
Tutte queste argomentazioni hanno riempito costantemente le pagine dei giornali, ma ancor meglio sono entrate nelle discussioni di tutti i giorni, nelle case, nei bar, negli uffici e nelle scuole.
Ad accomunare tutte le discussioni c’è un comune denominatore, il mancato rispetto della legge da parte di un esercito di disonesti e di furbi. Personalmente, reputo che il fatto di parlarne sia espressione da parte di noi tutti di una voglia di democrazia e di giustizia.
Ritengo quindi di identificare nella parola legge un sistema di abitudini sociali, di costumi morali, di rapporti personali e di valori in cui una comunità si riconosce.
Questa cultura sembra modificarsi, perché tutto quello che al cittadino prima appariva illegale ora pare possa essere diventato lecito. Questi possibili cambiamenti di valori appaiono insopportabili e pienamente inaccettabili.
La storia ci riporta ad una Italia dove il sistema giuridico ha antiche e nobili origini, poiché gran parte del diritto odierno trae infatti la sua cultura dall’antica Roma. Ed è proprio da Roma, sede del nostro Parlamento, dove si elaborano e si approvano le leggi, che è nato il seme della disonestà, diffusasi velocemente in tutti i settori del nostro paese.
Ormai siamo sempre più abituati a sentire parlare di avvisi di garanzia, di condanne a pene detentive, di arresti domiciliari, di rinvii a giudizio, di corruttori e corrotti e tutti questi termini ci richiamano alla mente il duro lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine, a chi nello Stato, lavora per lo Stato, per i cittadini e per il ritorno ad una situazione di legalità, ma ancor meglio ad un comune senso e rispetto della giustizia.
Probabilmente ciò è impossibile, visto che ogni giorno le vicende giudiziarie che vengono divulgate dai media, ci informano  su delle situazioni in cui la “legge” a volte non è uguale per tutti.Infatti, anche fra i magistrati, esistono diversità di interpretazione delle leggi e a subirne le conseguenze è il singolo cittadino e questo non è ammissibile in uno Stato moderno e democratico quale il nostro.Come giovane italiano, ritengo che la diversità di applicazione delle leggi da parte di un magistrato a danno di un individuo, sia ancor più grave del reato commesso da quest’ultimo qualunque sia il misfatto e qualunque sia il cittadino.
Un esempio di quanto sto dicendo è la situazione insostenibile riferita al gran numero di detenuti presenti nelle carceri italiane. Fra questi ci sono migliaia di persone in attesa di giudizio, a volte malate, spesso gravemente che non riescono ad ottenere gli arresti domiciliari, un processo, una indagine che tuteli la loro libertà e la loro dignità.
Siamo invece a conoscenza di casi particolari dove per alcuni ex ministri della precedente legislatura una soluzione veloce si è ottenuta.
Tutto ciò è scandaloso e produce nella gente un forte senso di sgomento, di impotenza verso uno Stato a volte arrogante, ingiusto e disonesto.
Nel frattempo noi giovani auspichiamo una primavera che porti giustizia e serenità al nostro paese, poiché la storia di questi ultimi decenni ce lo deve, nell’intento di ricreare così una leale coscienza civile negli uomini.

 

Finalmente uguali: che sia vero?
Il Ricordo – Pensiero

Il concetto principale evidenziato dall’illuminismo è quello dell’uguaglianza fra tutti gli uomini. Un concetto rivoluzionario, che nella storia solo la morale individuale di ogni uomo, la religione cristiana e qualche filosofo avevano avuto la forza di predicare.
Un evento di rilevante importanza per la singolarità del suo caso è avvenuto pochi giorni fa quando abbiamo saputo che il premio Nobel per la pace  è stato assegnato allo statista De Klerk e al rivoluzionario leader sudafricano Nelson Mandela. Pare così che la sorte dei cittadini di colore africani tutto  ad un tratto debbano cambiare il proprio destino. L’intolleranza e la violenza razziale nel Sudafrica sembra alternarsi, la società progressista che ha sfruttato questo tema dai mille volti sembra ora disapprovare la politica razziale attuata fino all’inizio degli anni ’90. Tutti noi sappiamo che dal principio di uguaglianza, scaturiscono i diritti dell’uomo e del cittadino, e che questi diritti ormai fanno parte della coscienza e della cultura di tutti i popoli. Eppure, benché gli ordinamenti e le costituzioni degli stati proclamano il principio di uguaglianza, nella pratica esistono disparità e disuguaglianza, pregiudizi e separazioni. È stata resa difficile quindi una serena convivenza fra uomini di colore e non in Sudafrica, proprio per principi estremisti di disgregazione dei valori e del potere sovrano e antiliberali. È nato così in questa parte di Africa come in altre nazioni di tutto il mondo il razzismo, cioè il considerare inferiore un uomo perché appartenente a un gruppo etnico diverso dal proprio.
Tutto questo ha origini abbastanza recenti credo da quando iniziò la tratta degli schiavi africani nelle Americhe.  Infatti in quei tempi di schiavitù sono stati i negri a essere oggetto di pregiudizi e discriminazioni. Infatti le condizioni di vita e di lavoro dei negri erano rigidamente regolate da leggi razziali, la popolazione di colore era costretta a vivere in deleterie situazioni, abitando in quartieri spesso degradati e concentrati in un unico luogo. Spesso privi di qualsiasi libertà, per potere circolare liberamente un cittadino negro doveva avere una specie di passaporto da esibire in qualsiasi momento gli veniva richiesto. In Sudafrica anche oggi sono nettamente separate non solo le abitazioni per bianchi e per neri, ma tutti i servizi pubblici, dai bar alle panchine, dagli autobus alle fontane d’acqua.
Come si può parlare di una futura convivenza fra uomini di razze diverse se questi sono gli atteggiamenti che vengono addottati? Iio auspico la fratellanza fra qualsiasi razza, ma mi risulta difficile essere ottimista in questa circostanza. Ancor oggi alle soglie del 2000 ai negri africani sono riservati i lavori più umili e faticosi soprattutto nelle miniere e, anche a parità di lavoro, un negro è pagato da cinque a dieci volte meno di un bianco. Possiamo chiamarla dunque serena convivenza? De Klerk e Mandela sono stati cittadini esclusi dalla politica nazionale e lottato ancora oggi per la libertà. Speriamo  tutti che riescano a modificare il presente. La situazione odierna è difficilissima, la posizione dei bianchi è resa forte dall’appoggio sia pure non aperto di compagnie occidentali soprattutto statunitensi, tedesche, svizzere e israeliane, con interessi nelle industri e nelle miniere Sudafricane, le quali, grazie allo sfruttamento dei lavoratori di colore, riescono a realizzare profitti molto elevati.
Naturalmente Mandela da anni lotta contro questa grave situazione e non sono mancate tragiche e sanguinarie rivolte. Ad appoggiare la rivoluzione della maggioranza africana si sono schierati non solo gli stati dell’Africa, ma anche l’ONU che più volte ha condannato il razzismo sudafricano.
Il razzismo è quindi una delle piaghe più gravi della nostra società, anche solo a fini egoistici e troppo spesso tanti, forse troppe persone, si dimenticano i principi fondamentali della democrazia, della libertà e dell’uguaglianza. Purtroppo esistono ancora gli incorreggibili atteggiamenti che investono la società nelle forme più deleterie: razzismo, non più come condannabile contrapposizione di razze umane ma anche come rifiuto di culture ed economie diverse, nell’intento egoistico di conservazione di privilegi acquisiti. Fortunatamente questi atteggiamenti poco riescono a coinvolgere la grande maggioranza dei giovani! È necessario quindi che come auspicato da Mandela: “ la libertà è il primo diritto dell’uomo”, in futuro quanto sancito dall’articolo 3 della Costituzione Italiana (“tutti i cittadini hanno pari dignità, di lingua, di religione, opinione politica di condizioni personali e sociali…) possa diventare regola di vita indiscussa per tutti i cittadini del mondo.

Nel nuovo millennio una società basata sulla giustizia, l’onestà e il rispetto verso il prossimo
Il Ricordo – Pensiero

La fine del millennio è un evento di rilevante importanza sia dal punto di vista sociale economico, che da quello morale. Tutto ciò è indice di profonda apertura a nuovi e concreti orizzonti, a un mondo diverso che comunque puntualmente non mancherà di procurare a noi tutti gioie e problemi.  Questo preannunciato nuovo millennio dovrà essere vissuto con molta serenità, anche se quasi certamente non mancherà di stupirci. La paura del cambiamento è cosa remota e si è evoluta nel tempo. Già antiche profezie risalenti al medioevo ci hanno informato sulla difficoltà degli uomini ad accettare cambiamenti radicali. In quel tempo si credeva che l’umanità non avrebbe superato tragedie e catastrofi di tale portata. Non si può pensare al ventunesimo secolo come ad un periodo diverso dal precedente. Probabilmente l’indole malvagia degli uomini porterà il mondo a guerre, ed ad una dura realtà che cambierà le abitudini e le usanze, portando ad un rinnovamento sociale che influirà nei rapporti fra i popoli ed anche nei confini delle rispettive nazioni. Dal mio punto di vista come potrei giudicare il futuro di questo mondo se non con un pensiero di speranza? Da adolescente protagonista di un mondo tutto mio e di nessuno, abitante in Italia, ricca di cultura e di storia, sono fiero di vivere in una nazione dai mille volti, storici e umani. In ogni modo contribuirò all’evoluzione di una società basata sulla giustizia, l’onestà e il rispetto verso il prossimo.Incuriosito dal passato accendo la televisione, uno strumento simbolo della nostra era dominata dall’influenza dei mass media e mi sintonizzo in una trasmissione che sintetizza ben 40 anni di storia italiana. Quante cose sono cambiate da quei mitici anni ’50 sino ai nostri giorni, sia dal punto di vista economico che sociale, tutto è in piena metamorfosi. Apparentemente il presente sembra evoluto: la parte meccanica si è sviluppata e in pochi decenni le tecniche di telecomunicazione via satellite si sono trasformate in macchine ospitali e accoglienti. Anche la scienza e la medicina si sono sviluppate e i metodi di sconfiggere le malattie sono aumentati. Numerosi vaccini sono stati scoperti per salvare persone afflitte da mali sconosciuti e incurabili, fino a pochi decenni fa. L’uomo è sbarcato sulla Luna, il comunismo è crollato, l’età media dell’uomo è aumentata dai 65 ai 78  anni. Questi i miracolosi prodigi di un’epoca che sta per concludersi. L’Italia è in crisi, l’attuale sistema è crollato,  distrutto dai suoi stessi uomini che l’hanno creato.L’economia del nostro paese è allo sbando, esclusa dal sistema monetario Europeo. È ora di fare i conti con il passato, dove molti si sono arricchiti a spese della collettività. Mi domando se il prossimo secolo e le persone che vi saranno sapranno sconfiggere la “peste nera del nostro paese” mafia e terrorismo? La coscienza degli uomini dovrà ritornare al valore della giustizia per farla sua prima bandiera.È auspicabile che il mondo possa trovare una serena convivenza fra i popoli e predicare la dottrina della pace e della non violenza, senza alcuna minaccia di guerra fratricida e assassine. Questa sete di potere e di dominio si piegherà all’umiltà e alla fede della ragione? Tutto questo è per noi una speranza ed è doveroso augurare agli uomini del duemila di risolvere e sconfiggere mali di tale portata.

Miti e mode del mondo giovanile
Il Ricordo – Il pensiero di Alvise

Il mito è il più forte ideale dell’uomo. Fin dagli antichi Greci, si intravedeva in questa figura, un concetto di simbologia magica, lontana e irraggiungibile ma, nel frattempo, meta di un’obbligata immedesimazione. E se l’essere superiore, come definito nella remota mitologia, si configura in un preciso modello da seguire e adorare anche oggi alle soglie del 2000, nella nostra società moderna, progressista ed avanzata c’è ancora bisogno di un mito, in cui credere e configurarsi. I giovani d’oggi di ogni nazione, disimpegnati e spensierati ciondolano in gruppi nelle strade, nelle piazze, accovacciati ai piedi dei monumenti, architetture, fontane, fermi immobili a chiacchierare. Appassionati di sport e disinteressati per quello che accade nel mondo, a volte senza interesse per la cronaca dei quotidiani, sono disinformati dalle notizie del radio telegiornale. Questo è il quadro descritto da affermati giornalisti che ci rappresentano così. Un quadro che vede i giovani appassionati di musica rock, diete, cosmetici, giovani che fuggono dalla società e dai suoi problemi, e che si raffigurano in un cantante, in un personaggio qualunque cosa che li rappresenta positivamente nella società. È tramontato il tempo delle contestazioni, durante il quale, nel ’68, il mondo giovanile studentesco combatté con convinzione, coraggio e speranza, la scuola, la società del tempo autoritaria e repressiva. Nei giorni d’oggi pare sia abbondante uno spirito di rassegnazione e autoconvinzione ed ecco che nasce, quindi, il diretto bisogno di molteplici, punti di riferimento che nulla hanno a che fare con la quotidianità. Beatles, Bob Dylan, Rolling Stones, venti anni fa mentre oggi la rock star Madonna e Michael Jackson pare siano i simboli più rappresentativi di quest’epoca in cui noi giovani abbandonati dalla società dalle soluzioni delle problematiche contemporanee. Affrontiamo così la vita e il futuro con lo stile e la grinta di questi affermati personaggi. Tutto questo è quello che si legge dalla stampa ma, personalmente, esprimo un profondo convincimento che ogni medaglia e ogni problema ha due facce. Se da una parte è vero che esistono sempre più giovani che inseguono miti contemporanei che durano il soffio di un successo, dall’altra parte, la faccia più genuina della medaglia. Ed è  quella in cui io credo, e che rappresenta tutti quei giovani impegnati a capire il proprio presente, senza farsi illusioni e senza correre nevroticamente dietro a personaggi, ma a tener presente le loro idee che simboleggiano unicamente la possibilità di far conoscere in ogni parte del mondo le aspettative di tutti noi. Dunque, un richiamo alla realtà pur apprezzando nella evoluzione delle mode, personaggi che meglio rappresentano la vita degli anni ’90.

I due volti di Venezia
Il Ricordo – Pensiero

Ogni città che ho avuto modo di visitare ha qualcosa di bello da ricordare, una particolarità che la rende diversa dalle altre e che ne evidenzia nel contempo la propria identità storica, ricca, particolarmente in Italia di tradizioni e cultura. Ma Venezia è un’altra cosa, è, una città incantevole unica al mondo, dai mille volti, che ha il potere di trasmetterti allegria in carnevale e tristezza in autunno e che ad ogni visita si presenta sempre diversa e sempre più bella. Una città adagiata sulla laguna, attraversata da uno splendido Canal Grande, sul quale si affacciano i più bei palazzi dei patrizi veneti che secoli di storia hanno portato ai giorni d’oggi in buone condizioni e piene di un fascino d’altri tempi. In un’epoca dominata dallo stress, dal traffico, dal nuovo, dal post moderno e dal progresso in tutte le sue multiformi articolazioni, Venezia mi è sempre apparsa come una città vivibile e a misura d’uomo. E sicuramente il mio punto di vista è condiviso da molti che la ritengono una città magica dove il mormorio delle onde e l’andirivieni spumeggiante della marea si intersecano al color roseo del calore del sole creando situazioni di intensa e naturale bellezza che offre a tutti, in ugual misura, sensazioni di pace e di profonda quiete. Situazioni vissute nei campielli, nelle calli e in quelle parti della città dove la gente si ritrova e dove si svolgono tutte le attività determinano quei valori quotidiani che si tramandano da sempre e che così bene il Goldoni, il commediografo veneziano, di cui si celebra quest’anno il bicentenario della morte, ha descritto nelle sue commedie. Ho avuto modo di assistere in queste settimane ad alcune delle sue commedie e nonostante siano passati due secoli da quando sono state scritte, le situazioni, le storie e le ambientazioni erano attuali da farmi ritenere Goldoni un contemporaneo. Ma la verità è che Venezia si presenta a me, al cittadino del 700 e al turista di oggi come una città che custodisce e riproduce al mondo la sua storia e le sue tradizioni. Altra indimenticabile bellezza di Venezia è il patrimonio di musei e di chiese che tanti artisti hanno raffigurato nei loro dipinti e nei loro affreschi. Una città dunque completa, capitale mondiale dell’arte e del divertimento, dove tutto esprime valori che difficilmente si potrebbero trovare in altre realtà. Vi è stato poi un periodo, dal ‘500 al ‘700 che ha espresso al massimo la vitalità veneziana ed è proprio in quegli anni che si sviluppano le più belle testimonianze in tutte le espressioni artistiche, che ancora oggi e sicuramente nel futuro verranno ricordate. Ma Venezia che si presentava allora separata dal mondo, senza Ponte della Libertà, con quattro volte la popolazione attuale e che pur in un panorama di accentuata ricchezza e povertà sapeva costruire monumenti, pulire i canali e commercializzare prodotti con le Indie, con l’oriente e con il mondo. È impossibile, non essere affascinati da una realtà come la nostra, che non si identifica con nessuna altra e che offre a tutti la possibilità di entrare in un mondo del passato. Ma ogni medaglia ha due volti e Venezia esprime anche tutte le problematiche dei nostri tempi, dove non c’è spazio per sogni ma bisogno di scelte concrete da parte di chi ci governa. Servizi pubblici non all’altezza dei tempi e un invecchiamento della popolazione a ritmi spaventosi accompagnati da un decentramento urbano mai visto prima. Oggi siamo giunti a 75.000 abitanti, duecento anni fa eravamo tre volte tanto. Una città in mano a turisti che vi trascorrono tre giorni l’anno, non può sopravvivere ed è destinata a morire, resteranno i monumenti ma i veneziani, gli antichi cittadini della Serenissima non ci saranno più, diventerà quindi una novella Disneyland, una mega attrazione turistica mondiale. Non più maschere, Vivaldi, Cataletto, Tintoretto, grandi ma attrazioni a tempo, uno spettacolo teatrale senza attori con un palcoscenico che lentamente sprofonda nelle proprie acque, muto perché non ci sarà nessuno a parlare e a protestare. Dunque una città in vendita per inerzia dei suoi stessi proprietari. La Regata Storica alla RAI, Palazzo Grassi alla FIAT, il Carnevale a Berlusconi, le case ai milanesi e via via ci troveremo con ricordi collettivi e dovremo pagare un biglietto per assistere allo spettacolo, per visitarla. Ma nel frattempo l’acqua alta diventerà sempre più alta, e nei canali non passeranno più barche, le abitazioni sprofonderanno e le gondole rimarranno uniche struggenti testimonianze di una città di una volta: la mia Venezia.

L’Europa dichiara guerra ai rifiuti
Il Ricordo – Pensiero

Alla fine della giornata date un’occhiata al contenuto del vostro secchio della spazzatura e cercate di immaginare il volume rappresentato da 120 milioni di tonnellate di rifiuti domestici: tante ne ha prodotto l’anno scorso l’Europa Occidentale, suddivisibile in 350 chilogrammi per abitante. La quantità di rifiuti che si raccoglie in un anno in Inghilterra permetterebbe di ricoprire una superficie pari all’intera isola di Wight sotto uno strato alto mezzo metro. E se i francesi ammucchiassero l’immondizia di un anno in piazza del Trocadero, a Parigi, formerebbero una montagna quattro volte più alta della Torre Eiffel. Negli ultimi dieci anni il tonnellaggio globale di rifiuti è aumentato del 30% e continua a crescere con regolarità. Anche la natura dell’immondizia è cambiata: se in passato era costituita da avanzi alimentari e altri rifiuti organici, oggi il 35% è costituito da carta e altri materiali da imballaggio. È aumentata la presenza di materie plastiche non biodegradabili: polistirolo, sacchetti di polietilene, bottiglie di PVC, polivinilcloruro, per non  parlare dei metalli pesanti come il cadmio, il mercurio, lo zinco e il piombo. Lo smaltimento delle materie plastiche genera diossina e altri composti tossici che inquinano l’acqua, l’aria e il suolo. La produzione di rifiuti domestici continua ad aumentare e se non ci sbarazziamo di questi materiali da scarto nel modo giusto torneranno a perseguitarci. Per far fronte a questa marea montante gli europei ricorrono a tre metodi principali: discariche, incenerimento  e riciclaggio. Ma esiste una soluzione ideale? La creazione di discariche in luoghi ufficialmente destinati alla distruzione dei rifiuti hanno come  scopo la riduzione di questi rischi. Ecologici. In Francia ce ne sono 341, in Germania 400, in Inghilterra 5000, in Italia 12000. Tra queste, una delle meglio concepite è quella di Cavenago, in provincia di Milano. Grazie a questo sistema si eliminano i cattivi odori in discarica, si evitano i fenomeni di autocombustione e si prevengono fughe di gas nei terreni e nelle abitazioni. La comunità Europea ha stabilito per l’anno in corso, l’inceneritore statale di Afvalverwerking Rijnmond a Rotterdam, in Olanda, come il miglior impianto delle dodici nazioni CEE. Mentre nelle città di Parigi, Roma, Francoforte, Londra, le situazioni non sono delle peggiori; la produzione giornaliera può arrivare a 7000 tonnellate e grazie ai più moderni inceneritori, vengono eliminati riducendo il volume del 70/80% e trasformando il tutto in cenere.L’incenerimento costa già in media 25 Ecu la tonnelata, (la moneta Europea che vale circa 1500 lire). Quanto costerebbe incenerire senza inquinare? I “verdi” raccomandano da tempo il riciclaggio di vetro dei metalli, delle materie plastiche, della carta e delle sostanze organiche, ma siamo spesso noi cittadini a gettare tutto spensieratamente. Gli olandesi e gli svedesi sono più coscienziosi di noi, perché arrivano a riciclare il 40% del vetro e della carta. I Belgi il 14% della carta e il 40% del Vetro. Gli Inglesi riciclano il 10% del vetro mentre la raccolta della carta è calata da 360.000 tonnellate a 40.000, essendo privi di qualsiasi aiuto del governo. Gli Italiani in fine riciclano il 50% del vetro e il 40% delle plastiche. Dal Gennaio ’93 l’Ente nazionale per l’energia e la Commissione per la protezione dell’ambiente, con l’avvento dell’Europa unita ha studiato il problema rifiuti e ha imposto una severa regolamentazione che avrà come risultato la relativa riduzione degli impianti: tutte le installazioni dovranno essere dotate di speciali dispositivi di depurazione dei gas per ridurre almeno il 90% delle emissioni di diossina e gas tossici. Il nostro giornale darà vari consigli per diventare persone più consapevoli della realtà. Come cittadini responsabili, abbiamo un ruolo importante da svolgere nella soluzione del problema globale dei rifiuti domestici. Ecco allora qualche iniziativa per i nostri lettori:

– usare gli appositi contenitori per la raccolta di carte e bottiglie se non ci sono continuate ad insistere presso le autorità locali fino a quando li forniranno;

– non gettate pile usate assieme all’immondizia di casa;

– riutilizzate i fogli di alluminio e gli involucri di plastica, anche i vecchi giornali potrebbero essere utili per pulizie o per far pacchi;

–  portatevi da casa borse per la spesa oppure un carrello, per limitare l’uso di sacchetti di plastica;

– quando è possibile, usate carta riciclata, acquistabile in cartoleria.

Solo così, con la collaborazione di tutti che troveremo un modo più adatto di smaltire la montagna di rifiuti che ci sta sommergendo.

Le preghiere dei viventi hanno il potere di alleviare le pene delle anime
Il Ricordo – Pensiero
Dalla lettura delle prime pagine del Purgatorio, il personaggio dantesco che più mi ha interessato è Manfredi, figura di rilievo e magnificamente descritta, dal poeta, nel terzo canto. La scenografia presentata è stupenda, Dante s’incammina, lasciando il mare per affrontare l’ultima montagna e ai piedi di essa, incontra una schiera d’anime: sono gli scomunicati, i quali essendosi pentiti nel punto di morte, ma non assolti dalla scomunica, devono stare fuori dal purgatorio, trenta volte il tempo vissuto in tale stato. Fra queste, Dante improvvisamente si sente interpellato da un’anima che gli chiede di riconoscerla. Alla risposta negativa del poeta, il penitente prende parola   e parla di sé e del suo passato. Quest’anima è Manfredi, figlio di Federico II, diventato re di Sicilia, dopo la morte di Corrado IV, e quindi usurpatore della corona che sarebbe spettata al piccolo Corradino. Manfredi era da sempre in conflitto con la Curia romana, come d’altronde era avvenuto a tutti i principi Svevi, e per questo il Papa chiamò Carlo d’Angiò in Italia, dandogli l’investitura del reame. La storia è avvincente, perché tale situazione provocò uno scontro immediato tra Carlo e Manfredi che avvenne a Benevento. Manfredi, dopo aver eroicamente combattuto , fu ucciso nel campo di battaglia. La leggenda dice inoltre che, rimasto insepolto, gli stessi capitani francesi, insistettero perché al loro nemico fosse ugualmente data onorevole sepoltura, anche se morto scomunicato. Il rito seguito dall’esercito francese fu questo: ogni soldato passando davanti al cadavere, gettò su di esso un sasso. In tal modo veniva lapidato lo scomunicato, e nello stesso tempo gli si costruiva una tomba. Altre notizie storiche ci informano che il Papa Clemente ordinò che il cadavere del nemico fosse trasportato fuori dal territorio di Benevento, che in quel tempo era di proprietà della chiesa e fosse gettato nella campagna, dove una volta abbandonato, sarebbe divenuto facile preda di uccelli rapaci e delle bestie selvatiche. Tutti questi avvenimenti, presumibilmente, colpiscono la fantasia del giovane poeta e determinano la creazione di questo episodio, che è uno dei più singolari. Fra le diverse caratteristiche di Manfredi, mi ha colpito anche il modo in cui Dante concepisce questa figura. Quest’uomo ci è descritto come “biondo, bello e di gentile aspetto” e vi è una profonda ammirazione nei confronti di quest’anima penitente, che appare ai suoi occhi come un individuo “nobile, aristocratico e maestoso”. Bastano queste poche parole per presentarci il personaggio, in modo assolutamente simpatico, perché Manfredi non è solamente bello ma anche un valoroso. Infatti, Dante vede subito la ferita in fronte e poi ammira la ferita al petto, essendo morto con la fronte rivolta al nemico. Della figura di Manfredi, ammiro prima di tutto l’affetto, straordinario che egli nutre per la figlia Costanza, e questo forte senso paterno è a mio avviso il sentimento più nobile che un uomo possa manifestare. In secondo luogo il suo enorme rammarico per il trattamento fatto al suo cadavere, poiché l’odio non dovrebbe continuare dopo la morte. Manfredi nell’oltretomba, perdonato da Dio e sulla via della salvezza, non avrebbe potuto mai provare sentimenti violenti contro chiunque. Intravedo, inoltre in Manfredi la preoccupazione di un uomo disperato del proprio destino terreno e la voglia primaria di fare chiarezza sulla sua tragica ma eroica morte. Scopro da questi atteggiamenti la sua voglia di informare il mondo dei viventi, tramite Dante, della sua ritrovata salvezza e la relativa espiazione delle proprie pene. Manfredi, quindi è l’interprete del bisogno d’amore innato nelle anime del Purgatorio, ed essendo perdonato da Dio, le sue parole sono confortanti agli occhi del poeta.Questo sentimento d’amore, è un sentimento profondo di umanità e fede cristiana, che si può ottenere solamente con le preghiere dei viventi, perché esse hanno il potere di alleggerire le pene delle anime e di fare proseguire i penitenti verso la beatitudine e la misericordia di Dio.
Il periodo dell’adolescenza: il più sicuro e felice della vita dell’uomo
Il Ricordo – Il pensiero di Alvise

Il periodo dell’adolescenza è considerato come il più bello della vita dove riflessioni, prospettive e ambizioni si manifestano nella mente di noi giovani. Molti studiosi definiscono l’adolescenza come “l’età di formazione”, dove si inizia a intravedere la personalità e il carattere di chi si inserisce nel mondo degli adulti e nella società odierna.  Sacrifici e rinunce vengono poste all’adolescente per raggiungere, nel proprio futuro, un sano obbiettivo. Personalmente, sono dell’idea che ogni giovane deve porsi delle mete da raggiungere, altrimenti viene a mancare il cosiddetto “scopo-esistenziale” di una persona. Bisogna non perdere tempo, raggiungere, giorno dopo giorno, piccoli obbiettivi. Noi giovani degli anni novanta abbiamo la possibilità di leggere e parlare con molte persone, verificando successi ed insuccessi  ma sapendo che, per diventare delle persone oneste e preparate, bisogna impegnarsi in tutte le difficoltà che ci si pongono quotidianamente. Questi miei pensieri di vita mi confermano la teoria che l’adolescenza è il periodo più importante dell’esistenza, in quanto si ha il primo appoggio della famiglia, degli amici e di tutte le persone che ci stanno vicino. Come ogni stagione, anche l’adolescenza deve essere ben vissuta e, probabilmente il segreto sta nell’impiegare fruttuosamente il tempo concessoci. In questo periodo, il giovane inizia a scoprire, a conquistare un suo mondo, che, concretamente, è solo suo, e non vi è nessun’altra persona che cambierà le idee e le proprie convinzioni. A questo proposito, dalla lettura di alcuni brani dei poemi classici, prendo ad esempio una frase del grande Seneca “Breve è la vita, lunga l’arte” Non è vero che abbiamo poco tempo, in realtà ne perdiamo molto, la vita è sufficientemente lunga, e ci è data in compimento di ciò che è più importante se, nel suo insieme, venisse spesa bene. Ora una persona matura, ma anche dotata di un po’ d’amor proprio è capace di inserirsi nella società del domani con una giusta impostazione morale, distinguendo il bene dal male. È importante infatti non dimenticare mai che oggi si vive in un mondo pieno di pericoli, ed estremamente ingrato, dove spesso si ricorre all’ingiustizia e alla disonestà. Noi dobbiamo dimostrare che non è più così e il nostro impegno deve partire dall’interesse verso i problemi sociali, la politica,  e il problema ambiente. Un giovane della mia età può essere spesso non capito, incompreso da molti, soprattutto dalle persone “mature” che vedono in noi uno spirito indifferente, dispersivo, e a volte, maleducato. Dalla nostra parte abbiamo la grinta, l’onestà e un cervello per operare scelte. Questa nostra età tranquilla e felice, nel frattempo non escute fallimenti e delusioni; l’importante è lottare contro sé stessi, vincere ed andare sempre avanti correttamente nel pieno rispetto verso il prossimo, ma ancor più verso se stessi. Essere giovani non è solamente motivo di divertimento, di sport o di qualsiasi stravaganza è anche un’età di formazione, dove già si intravede  un primo appoggio ad un impegno sociale, rendendosi utile e, magari, abbinando con intelligenza l’utile al dilettevole. Va detto che i tempi sono cambiati, oggi si deve lottare meno, rispetto a una ventina d’anni fa e, perciò, dobbiamo essere grati alle precedenti generazioni se oggi viviamo più liberi e con un reddito familiare che non ci fa mancare niente. Sta a noi ora sviluppare le idee, le proposte che ci riguardano direttamente e far sì che un indomani i nostri figli trovino una società più onesta e sicura. Tutti noi giovani disponiamo della massima fiducia delle più importanti istituzioni che credono nelle nostre idee, ora bisogna sapere utilizzarle e discuterne, ricordando al mondo intero che i veri protagonisti siamo del futuro noi con i nostri pregi e i nostri difetti, con capacità e caratteri specificatamente differenti. Mio desiderio è che l’adolescenza, questo periodo della vita umana tra la fanciullezza e l’età adulta, sia per tutti un periodo dalle molte soddisfazioni in tutti i campi, perché la vita è un bene prezioso, e come tale, ogni stagione di essa, deve essere vissuta piacevolmente.

La droga e i giovani
Il Ricordo – Pensiero
Articolo pubblicato sul n. 1343 Anno XXV del 2 maggio 1993 “La Borromea”

La Pasqua del Signore è nel nostro passato e spero sia stata da tutti vissuta nella consapevolezza che essa è memoriale per la vita. Cristo è risorto, la primavera è in fiore, la natura si risveglia e il nostro spirito loda il suo Creatore. Questi segni di gioia stridono guardando alle difficoltà in cui si dibatte l’Italia, alla guerra in Bosnia che continua incontrastata a mietere le sue vittime. Il mondo lancia un grido di dolore, di disperazione e auspica la solidarietà. Quello che tuttavia vorrei sottolineare è il pericolo numero uno per i giovani, in questa società industrializzata – civile e progressista, costituita da una polvere biancastra di maligne origini: la droga. Questa peste del 2000, colpisce milioni di giovani convinti di essere in qualche maniera i pionieri di uno sfogo, di una repulsione, di una mancanza di amore e di fede cristiana. È inaccettabile percorrere un vicolo cieco, è obbligo comune di cambiare strada. Con la fede, con uno scopo e un sano obiettivo bisogna salvare la vita di questi giovani malati invasi da un ospite desiderato solo psicologicamente. Questa “giovane signora vestita di nero” miete le sue vittime, le sceglie e le conduce alla morte. Eppure anche noi vediamo quei volti sofferenti, scavati dal dolore distrutti da un irrefrenabile male di tali proporzioni. Siamo presenti, quando ai giardini pubblici notiamo le siringhe infette gettate nei cespugli. In uno stato di tale nome come questo genere non dovrebbero neppure accadere, eppure esistono. Non possiamo sostare alla finestra, lo stato siamo noi cittadini veri protagonisti di questo scenario nazionale. Una malattia in quanto tale va curata, ma per uscire dalla droga è richiesta al malato una forte volontà; noi tutti siamo sicuri che grazie alle comunità di recupero ce la faremo a salvarli. La vita è un bene troppo prezioso e questi “angeli” caduti all’improvviso in fondo al mare, grazie a Dio e al nostro impegno di cristiani riusciranno a rivedere la luce della vita e solo allora l’oscurità e il male della droga, saranno solo un lontano e amaro ricordo, quando il sorriso ritornerà nei loro volti. Insieme possiamo farcela!

La famiglia come istituzione resiste alle mode dei tempi?
Il Ricordo – Pensiero

La famiglia nella nostra società che ruolo ricopre? È una domanda che ancor oggi ci si pone. Dalla lettura dei giornali le statistiche sulla famiglia dimostrano una riscoperta del guscio familiare da parte di noi giovani. Il momento della reale conquista dell’autonomia si allontana e i giovani raggiungono così questo status dopo i 26 – 27 anni di età. In questo lunghissimo vuoto i giovani e i giovanissimi sono esposti a sollecitazioni di ogni genere ed è venuto meno il modello di adulto da imitare. Si creano per tanto modelli e regole comportamentali tra coetanei difendendosi così da quel mondo adulto così diverso è difficile. D’altra parte quando spiccava la figura del padre autoritario e del concetto di un’unità famigliare, la meta dei giovani era creare una famiglia. Ho letto che, in quel periodo, i genitori non erano visti come amici, e a volte complici della quotidianità, ma come educatori e censori, e questa serie di proibizioni, nonché l’esasperazione di un severo rispetto del denaro e delle cose, ha maturato la voglia dei giovani di essere se stessi al di fuori delle dipendenze familiari, dando così origine al periodo delle contestazioni che pare ormai definitamene tramontato. Oggi, a mio giudizio, l’unità familiare è ancora presente nella nostra società, e nella nostra nazione la famiglia rappresenta ancora molto bene l’apice di questa situazione che, per noi italiani, è stata sempre motivo di compattezza. Dunque, non vi è un freddo distacco all’interno della famiglia come quello di circa vent’anni fa, dove la società mutava la sua conformazione sociale, ma ci troviamo di fronte ad un ritorno ai valori tradizionali e all’accettazione delle norme di convivenza da parte di tutti i suoi componenti. Anche il tempo libero dei giovani tende ad essere diverso, mentre la passata generazione era rappresentata da un modello di giovani impegnati in associazioni politiche a tutto campo, le nuove leve utilizzano il tempo libero in modo differente, e sport e divertimento fanno la parte da leone. In parecchi ci domandiamo dove sia andato a finire il modello classico della famiglia, e del buon educatore. Esiste ancora oggi o tende a sparire? A mio parere, la famiglia, come istituzione, al giorno d’oggi resiste alle mode dei tempi, ma è differente da quella del passato proprio perché si pone di affrontare le problematiche e le esigenze dei figli, discutendole e parlando dei temi che un tempo non si accennavano minimamente. E così ritornando al modello classico credo che non sia ancora scomparso. Io stesso lo posso riscontrare nei nostri nonni paterni e materni, dove vige ancora un tipo di educazione basata sul rigore e sull’aiuto familiare. Comunque dai giovani si sente un lamento, e non ci sono modelli adulti credibili. A mio giudizio qualunque famiglia, deve saper aiutare il giovane ad acquistare le virtù, e le capacità che lo rendano veramente uomo, come la lealtà, l’onestà, la giustizia, la fede, la forza e la bontà. Molto spesso si insegna più facilmente ad occupare i primi posti, a guadagnare di più, a essere più spettacolari degli altri, piuttosto che a considerare gli altri come parte essenziale del proprio cammino e delle proprie esperienze di vita. La famiglia, dunque, è la prima e più importante cellula dell’organismo sociale dal quale ne riceve i benefici e molteplici influssi;  è il baluardo che gli uomini possono opporre al dolore che è loro inflitto da altri uomini, è il rifugio a cui l’uomo stanco può sempre ritornare. Credo che diversamente dalle generazioni precedenti, le nuove leve sentono due forti sentimenti contrastanti: la voglia di autonomia e la necessità della famiglia come elemento centrale della propria crescita sociale. Due aspetti che esaltano la migliore qualità degli uomini e che, solo da un effettivo equilibrio, si potrà sperare in un mondo più sereno, più corretto e probabilmente più leale nelle diverse componenti delle generazioni che lo rappresentano.

Una idea per la qualità della vita
Il Ricordo – Il pensiero di Alvise

Vorrei con questo mio lavoro riuscire ad esprimere e quantificare tutta la mia rabbia per un mondo diviso anche nella possibilità per gli uomini di vivere la quotidianità, nel camminare, nell’affrontare un centro storico, una scala, una strada, un negozio, una scuola.
Quello che si dice una vita normale, dove per vivere non si debba avere bisogno di tecnologie e di medicine, di apparecchi particolari, di accompagnatori e di quant’altro serva per potere essere autonomi e potersi sentire uguale agli altri.
Se avessi un’idea, anche solo in parte vincente, per dare delle risposte intelligenti al miglioramento della propria vita e più in particolare a chi ha difficoltà, a chi vive una sua diversità rispetto agli altri, penso che nessun premio possa essere tanto importante da essere all’altezza dal risultato conseguito.
Dunque cercherò più modestamente di esprimere il mio punto di vista avviando qualche riflessione che porti almeno a me stesso consapevolezza della gravità del problema, convinto che se tutti, dico tutti, noi giovani cominciassimo a parlarne, sicuramente fra qualche anno la situazione sarebbe completamente diversa.
Dovremmo perciò avere un comune atteggiamento, diverso e più disponibile, un po’ come i girasoli sono tutti rivolti perennemente al sole, noi giovani dovremmo orientarci nel modello di vita, nello studio e nella ricerca alla soluzione del problema.
Come sappiamo, alle soglie del Duemila, l’umanità ha certamente fatto dei grandi passi in avanti nel raggiungere livelli di benessere, e di conoscenza specifica di nuove tecnologie.
Un mondo dunque che sta cambiando rapidamente e che ha avuto il merito, in particolar modo nella seconda metà del secolo ventesimo di far crescere la qualità della vita per una buona parte dei residenti nei paesi industrializzati. Ma tale affermazione ha anche delle forti contraddizioni. Evidenzia nel contempo molti aspetti negativi, soprattutto nei paesi poveri, laddove le forti disparità sociali ed economiche si traducono nell’incapacità di una buona parte di quella popolazione di accedere alle risorse di base: cibo sufficiente, elementare alfabetizzazione e cure mediche di base. Nazioni dove se un uomo è anche portatore di handicap, aggiunge un problema ad un altro problema con nessuna possibilità di poter affrontare la vita in modo dignitoso. Quasi una doppia condanna avuta nel grembo della propria madre, senza via d’uscita. Una condanna ricevuta da un tribunale virtuale formato da tutti noi.
Un dramma nel dramma, per loro ma anche per noi. In sostanza possiamo tranquillamente affermare che il mondo è praticamente diviso in due una parte sempre più ricca e più assistita, mentre l’altra parte sempre più povera, in tutti i sensi.
Questo è un primo scenario del problema che ci è stato posto oggi: infatti dovremmo in poche pagine delineare un progetto per la qualità della vita. Quale vita e per chi?
Se parliamo dell’uomo, senza distinzione di nazionalità, dovremmo cercare di affrontare il problema con maggior dinamismo e notare una maggiore partecipazione da parte dei governi e del mondo della produzione, ma anche e soprattutto da parte dei giovani che nel tempo si troveranno essi stessi a prendere decisioni, a determinare un maggiore orientamento alla solidarietà.
Un ragionamento dunque che veda coinvolta tutta l’umanità che può dare, che può contribuire ad individuare delle nuove risposte in funzione di una maggiore dignità collettiva.
Ma siamo franchi, questo obiettivo è al di là da venire, ci vuole un etica diversa, un coinvolgimento determinato al comportamento intelligente, alla ricerca della soluzione dei problemi degli emarginati, una nuova voce di bilancio che sostituisca all’utile aziendale, la progettazione di attività a favore degli altri.
Un sogno con tutta probabilità oggi impossibile da quanto ho potuto leggere e interpretare dalla quotidianità del nostro modello di vita. Infatti una buona parte dell’umanità vive in una situazione di diversità sostanziale rispetto all’altra, quasi fosse portatrice di un handicap.
Una sottile diversità dunque fra questa parte dell’umanità, emarginata e sconfitta dalla nascita, ed un’altra residente nei paesi industrializzati ma portatrice di handicap, di chi cioè è in grado di vivere la propria vita solo se posto nella condizione di essere aiutato.
A mio parere proprio oggi che assistiamo ad un modo nuovo di affrontare le scelte e le responsabilità di conduzione e di governo del nostro paese possiamo fare qualcosa per chi ha dei problemi di deficit motorio e o sensoriale proprio perché per loro è ancora più grave e più difficile l’accettazione di tale realtà dove tutto si trasforma al ritmo dell’efficienza e di un modello complessivo di miglioramento della vita una maggiore.
Questo è uno dei problemi più “nuovi” del nostro paese, ma ancor meglio della cultura dei paesi industrializzati. Capire cioè se esiste la volontà di affrontare un modello di sviluppo dell’economia evidenziando come obiettivo comune un progetto di solidarietà verso le classi emarginate, o ancor meglio verso chi per motivi diversi non è un grado di essere autonomo. In sostanza, un piano di azioni, di leggi e di comportamenti che determini una nuova consapevolezza di provvedere alle necessità della persona portatrice di handicap accrescendone la propria dignità umana.
Certamente c’è molto dibattito intorno a questo tema ed è ancor più evidente che fino a pochi anni fa il problema non c’era in quanto nessuno, tranne una scuola di pensiero legata al modo cattolico, sviluppava attività di volontariato e di sostegno a favore dei più deboli.
In sintesi abbiamo bisogno che la ricerca sviluppi nuove tecnologie, ma anche che i media diano maggiore e più qualificata informazione sul problema.
Vi è la necessità di nuove regolamentazioni per gli assetti urbanistici, ma anche di un maggiore coinvolgimento e di integrazione nel mondo del lavoro. Un grandissimo ruolo potrà essere svolto dal mondo produttivo, che potrebbe dedicare maggiore attenzione al settore. Utili aziendali a favore della ricerca di nuove soluzioni tecnologiche, posti di lavoro per una maggiore integrazione del portatore di handicap.
Luoghi di lavoro a misura dell’uomo, dove il miglioramento del livello di vita dei propri collaboratori sia un fine aziendale e non un mezzo.
Ho la certezza che solo così, se ognuno contribuirà con le proprie forze e la propria intelligenza al raggiungimento di un migliore standard qualitativo di vita, potremmo vivere tutti da protagonisti.
Ma per ottenere ciò è veramente necessario cambiare atteggiamento e forse, solo allora, vi sarà un premio per tutti e non per uno solo.

Impressioni su Pablo Neruda
Il Ricordo – Pensiero

Pablo Neruda
Poesia Moderna Americana meridionale

La voce maggiore dell’America meridionale è certamente quella del cileno Pablo Neruda ovvero di Neftal Ricardo Reyes, il poeta che più ha influenzato la poesia ispano-americana del Novecento.Gli inizi di Neruda furono romantici e modernisti e le raccolte che vanno dal 1921 al 1923 evidenziano questa testimonianza:
–          crepuscolario 1923
–          Veinte Poemas de amor y una canzone disperata 1924
–         Tentativo del ombre infinito 1925.
In queste opere si manifestano le qualità verbali e pittoresche del vero Neruda l’accento personale che non lo abbandonerà più e concezione drammatica della vita su un fondo ancora romantico. Egli disse: “Ho un concetto drammatico della vita, e romantico; non mi corrisponde ciò che non giunge profondamente alla mia sensibilità”.
Infatti sono presenti in lui il soggettivismo estremo, l’esaltazione romantica e la sensibilità patetica.
Nessuno sente intorno a sé le insidiose tenebre notturne, la sete eterna e inappagata, la fatica continua, il dolore infinito, vi è ovunque un diffondersi mesto e sognante dell’animo. L’amore coinvolge problemi più ampi d’ordine metafisico, egli si sente solo nell’universo, piegato, come la spiga, dal vento.
Nell’opera “Tentativa del Hombre Infinito”, si percepisce un senso di sofferente solitudine.  Elementi che risaltano sono la morte e il vento che scavano sempre più il solco di una malinconia autunnale.
Il vento fa più desolato il senso della solitudine, più cupa l’ostilità del mondo e della vita, il poeta si perde in un mare di solitudine e col vento, grida la sua disperazione.
In lui, Torna più vivo il senso del trascorrere del tempo di tutto ciò che è effimero, fugace, non è più l’orologio che scandisce il tempo, ma la notte stessa, la tenebra è l’orologio che va staccando, isolando le ore della vita.
L’immagine s’impone per messi logici, ma soprattutto per sconvolgere ad animate figurazioni e sempre per colori intensi che danno alla poesia plastiche, la fanno sinfonia di colori: azzurro, oro, rosso, nero.
Attraverso un intrico di immagini e di colori si leva alta nella notte e nel vento la triste “querella” del poeta.Qual è il periodo più personale e maturo di Neruda?Dal 1925 al 1931, e le opere sono:
–          El Pondero Entusiasta 1933;
–          Residencia en la tierra 1931 – 1936;
–          Las Furias y las penas 1934
–          Canto General 1950.
Ogni cosa nell’Hondero entusiasta sta a significare il disorientamento dell’essere, dominato dalla convinzione che corriamo verso la morte. Il vento scuote nella furia tutte le cose. Ogni illusione sotto la sferza del vento “Immenso” non rivela altro che una vana essenza, e tutto induce al pianto.
Da questa coscienza sorge irrefrenabile nell’anima l’inebriante desiderio di salire nell’alto, di soffrire per penetrare, di immergersi nelle cose, di sterminarsi solo per rimanere unico faro nel caos.
Vi è nel verso di Neruda un ciclopico movimento, la sua poesia si muove come nei turbini degli uragani atlantici e reca in se il segno dell’immenso, spazia nelle supreme e sconvolte altezze celesti, per raccontare aneliti verso l’alto e verso il mondo. Nelle sue poesie, (gran parte), non vi è sole, ma solo grigiore.
Ossessionante presenza di tragedia, scardinamento delle cose, un panorama grigio gli si stende davanti e funebri solitudini circondano l’uomo, in un mondo estinto e caotico uscito da un grigiore piatto, senza speranza.
Con Tercera Residencia comprende liriche dal 1935 1945. Neruda quì abbandona la poesia e la  politica incontra nel Canto General e nelle Odas la sua stessa ideologia che conduce a toni più risonanti, epici nel canto tendenti a raggiungere l’elementarità delle cose nelle odas.
In Tenera Residencia sono incluse le liriche scaturite dalla profonda esperienza del dolore del poeta durante la Guerra civile Spagnola, 1936-’37.
Allora l’atteggiamento di Neruda qual è?
A mio parere, l’atteggiamento è di aperta solidarietà con la parte repubblicana in lotta per la libertà e contro l’oppressione ma, vi è nel poeta cileno maggior forza polemica e una più violenta presa di posizione verbale nelle opere
–          Canto a las madres de los milicianos muertos,
–          canto a Stalingrado,
–          Nuevo canto da amor a Stalingrado, (vibrante di vera forza epica);
Il grande poema epico di Neruda. El verdaro “Cantar de Gesta” del continente Americano.  Ci racconta la storia di quel mondo immenso, e misterioso a partire dalla sua primitiva creazione, attraverso il glorioso passato preispanico, gli orrori della conquista e l’avvento della luce giunto con i liberatores mentre,  “Canto general del Cile” è un’altra importante oper, ricco di umanità e di poesia.
Ne “Alturas de Macchu Picchu” le rovine della cittadina furono determinanti nelle decisioni di Neruda di trasformare il progettato canto general del Chile, nel canto general di tutta l’America. Infatti, Macchu Picchu, la città in rovina diviene il simbolo di un mondo da rivendicare.
Nel “Canto del Cile” l’esperienza lirica, e sentimentale, l’umana nostalgia della patria, che dall’esilio divorava il poeta e ingigantiva le proporzioni spirituali del suo paese, soprattutto del mare.
Il “Canto general” è il documento di uno dei più possenti sforzi poetici tentati nel nostro secolo.
In esso Neruda dopo aver tanto distrutto riesce a ricostruire un mondo in cui vive di nuovo la speranza in cui rinasce l’ottimismo.
In tal senso si spiegano anche le Odas Elementales nelle quali il poeta si volge alle cose umili.
Ricapitolando le opere principali di Neruda sono:
–          Crepuscolario;-          Viente poemas de amor y una cancion desesperada;
–         Tentativa del Hombre Infinito;
(senso di sofferenza solitudine riaffiora);
–          El Pondero Entusiasta;
–          Residencia en la Tierra;
–          Las Furias y Las Penas;
–         Tercera Residencia;
(Tema : prima guerra civile spagnola) ;
–         Ganto General, Canto del Chile;
–         Odas Elementales;
–         Oda a Guatemala.

L’Europa dei giovani sta volando ben alto, al di là delle monete uniche
Il Ricordo – Il pensiero di Alvise

Articolo pubblicato sul quotidiano “Nuova Venezia”  in data 15 luglio 2001

Caro direttore, sono uno studente universitario della facoltà di Lingue e letterature straniere di Cà Foscari e quest’anno essendo ormai molto vicino alla laurea , mi sono recato come studente Erasmus in Francia a Montpellier, una esperienza bellissima che ora mi accingo a raccontare.
Per prima cosa mi sono accorto quanto importante sia l’eliminazione di ogni pregiudizio, di ogni luogo comune, per capire bene il termine Europa, nata politicamente con il Trattato di Maastricht il 7 febbraio 1992. Il nuovo Trattato ci  propone già da ora ma ufficialmente con il primo gennaio 2002 di ricondurre in un quadro unitario – sia pure con un diverso grado d’integrazione- alcuni grandi aspetti tipici della sovranità nazionale: la moneta unica, la politica estera e di difesa, la libera mobilità scolastica,  la sicurezza interna e la giustizia. Partire per questa esperienza per uno studente con il mio carattere era dunque una tappa obbligatoria per la propria formazione. Ho visto in prima persona quanto importante sia l’integrazione fra i popoli, quanto indispensabile sia il dialogo fra giovani studenti di diverse nazionalità che lavorano tutti per lo stesso obiettivo e con l’intesa che La Comunità Europea, non sarà più soltanto uno spazio economico omogeneo ma potrà e dovrà avere anche un anima per reggersi in piedi e portare a termine il sogno. Quel sogno che già cullava in quel passato che è divenuto presente per consacrarsi a mito, nella mente di John Lennon nella pace e nella tranquillità della campagna inglese. Da lui e da quei posti non potevano che uscire le parole e la melodia di Immagine: “immagina un mondo di solidarietà senza confini, di amicizia e amore dove non ci saranno più muri, ma solamente libertà, sogno, ideali di poesia e di musica, dove tutto il sapere deve misurarsi con loro. Riformulando i vari concetti, la musica diviene letteratura e con uno scambio magico la letteratura musica. Mi viene da citare per esempio A. Savino, scatola sonora, Milano pag. 279, “se la musica non scorre, non è più musica. Scorrevolezza e continuità di ritmo sono il fiato della musica: l’espressione dell’ideale moto della vita non come è, ma come vorremmo che fosse, la musica esprime in maniera più trascinante, come la letteratura, l’ideale moto della vita; è perché nella musica l’uomo ritrova quella stessa libertà ed ebbrezza che gli danno le corse veloci e soprattutto il volo”.
E l’Europa dei giovani sta volando ben alto aldilà delle monete uniche, dei trattati internazionali, del caffè ristretto, vola per costruire intelligenze fatte di emozioni, di sogni e di sana praticità.

 

Raccolta fondi tramite Crowdfunding

 

Un aiuto per Ruslana

La Fondazione Alvise Marotta onlus ha aderito alla piattaforma web di Crowdfunding Produzioni dal Basso per raccogliere Fondi da destinare ad alcuni dei progetti avviati in questi dieci anni di vita. Il primo progetto avviato dal 2005, è anche il primo che prevederà questa, per noi, nuova formula di raccolta fondi: l’Adozione a distanza di Ruslana. (Link: Un aiuto per Ruslana.)

A luglio verseremo all’Associazione Ariete la quota annuale, ma quest’anno vorremmo contribuire con qualcosa in più che potrà venire solo dal vostro buon cuore.

Ruslana vive in un piccolo paese dell’Ucraina verso il confine Bielorusso e ha perso il padre anni fa, ora vive sola con la madre, mentre i due fratelli sono andati a studiare a Kiev. La sua situazione è molto peggiorata con la guerra: sappiamo tutti che in Ucraina c’è stato un ulteriore impoverimento della popolazione.

Clicca il link http://linkpdb.me/8223 e troverai il nostro progetto!

Cos’è il Crowdfunding?

Il termine trae la propria origine dal crowdsourcing, processo di sviluppo collettivo di un prodotto. Il crowdfunding si può riferire a iniziative di qualsiasi genere, dall’aiuto in occasione di tragedie umanitarie al sostegno all’arte e ai beni culturali, al giornalismo partecipativo, fino all’imprenditoria innovativa e alla ricerca scientifica. Il crowdfunding è spesso utilizzato per promuovere l’innovazione e il cambiamento sociale, abbattendo le barriere tradizionali dell’investimento finanziario. Negli ultimi anni, sempre più spesso è stato invocato come una sorta di panacea per tutti i mali e un’ancora di salvezza per le economie colpite dalla crisi finanziaria (da Wikipedia)

Cresimandi al Sichar
Il Ricordo – Pensiero

Articolo pubblicato sul n. 1288 Anno XXIV del 13 aprile 1992 “La Borromea”

Mestre 5 Aprile
Alle ore 9 sotto un cielo grigiastro e cupo, noi ragazzi “pre-cresima” siamo partiti verso il Sichar per affrontare con grande partecipazione ed entusiasmo l’atteso Ritiro Spirituale. Lontani dalla città, in pace con noi stessi, ci siamo proposti di scavare nella nostra personalità, cercando i valori semplici e genuini della vita, dimenticando anche se per poche ore, consumismo, tecnologia e progresso.
Il nostro gruppo ha avuto la possibilità di confrontare idee e sentimenti e di verificare accuratamente aspetti e opinioni della nostra routine quotidiana.
Cari lettori, “Ritiro” è sinonimo di momentaneo isolamento dai problemi della società privilegiando uno studio approfondito della propria natura di giovani in simbiosi con la religione, che da molti di noi spesso viene tralasciata.
Il 5 aprile è stata anche una giornata di completa fratellanza ed amicizia, che ci ha visto veri protagonisti del Sichar, disposti a collaborare con gli altri al fine di ottenere una completa riflessione su questo particolare periodo della nostra vita di adolescenti-cresimandi. Per questa giornata, dobbiamo dunque un grazie alla comunità e a tutti quelli che con grande impegno ci stanno preparando a questo cammino verso la Cresima: un evento importante per il nostro futuro di cristiani.

La Pace
Il Ricordo – Pensiero

Tutti gli uomini sanno che il bene più importante da ottenere e poi difendere è la pace, ma sanno anche che da sempre ci sono popoli oppressi che lottano per vedere riconosciuti i propri diritti e per difendere il proprio territorio. Evidentemente il concetto semplice di libertà, democrazia e pace ha un senso logico se si riesce a comprendere che il significato di ogni parola ha spiegazione se si conosce il suo contrario. Dunque non si può parlare di bene se il male non fosse da millenni, combattuto e conosciuto. Come d’altra parte una società povera non potrebbe essere individuata se non ci fossero società ricche ed evolute. Ma fra tutte le parole che gli uomini comprendono, ve ne è una, una sola,  che è compresa e desiderata da tutti, ed è nella speranza di ogni popolo  come simbolo di serenità, benessere, intelligenza e giustizia. Sto parlando della “pace”, un bene di enorme valore,  certamente il più grande fra i bisogni dell’uomo, che l’umanità nel suo complesso non riesce a mantenere cercandola invece  attraverso la guerra, la supremazia, conquista del potere economico, e di territori che hanno potenzialità maggiori rispetto ai propri. Nella lunga storia del nostro pianeta, le civiltà si sono evolute ma l’uomo  desiderando la pace ha anche contemporaneamente cercato la guerra. Probabilmente la pace e la guerra sono le due facce di una  stessa medaglia:  l’umanità che cercando di integrarsi per sopravvivere, si scambiano spesso ruoli proprio come il braccio e la mente. Ci sono nazioni che difendono il proprio territorio ma nello stesso tempo partecipano a missioni di guerra, magari per riportare la pace, e azioni di guerra spesso a migliaia di chilometri dal proprio territorio.
D’altra parte quando la lettura dei giornali ci informa che sta per finire una guerra, contemporaneamente veniamo a sapere che ne sta per cominciare un’altra per motivi di volta in volta diversi, ma sempre per il desiderio di qualche popolazione di prevaricare i diritti altrui. In effetti i mezzi di comunicazione hanno reso molto veloce la conoscenza di questi fenomeni che in taluni casi, come la Guerra del Golfo, di due anni fa,  sono diventati spettacolo, così, le ragioni e gli interessi prevalgono sulle coscienze degli uomini e come gli antichi colonizzatori distruggevano culture locali nel nome di una civilizzazione dovuta, oggi assistiamo, a tensioni,  questioni autonomiste,  religiose ed economiche, che  caratterizzano gli anni ’90 in uno scenario di  enorme incertezza sociale.
I paesi balcanici e i paesi dell’Est europeo sono allineati ai paesi del terzo mondo e del sudamerica, in una ricerca di un benessere che gli viene negato dai paesi più ricchi che difendono il proprio territorio  non permettendo loro di varcare le proprie frontiere, o peggio ancora alimentando le tensioni interne fornendo armi.
Sappiamo anche che il 20% dell’umanità consuma l’80% delle ricchezze prodotte nel pianeta, ed è forse qui la spiegazione di una tensione internazionale alimentate da tutti i mali nati dal benessere come la droga, la prostituzione e la prevaricazione dei diritti umani. Bisogna cambiare il ragionamento che sta alla base della sopravvivenza dell’uomo, non più difesa dai più deboli che ci attaccano ma più aiuto e rispetto della dignità dei diritti di ogni essere umano, qualunque sia il colore della pelle, la religione e il paese che gli ha dato i natali. È una occasione per diventare uomini il cui unico ciclo rispecchia le coscienze pulite di cittadini di un solo stato: il mondo. Probabilmente ciò non avverrà mai, ma la speranza condivisa  collettivamente è sicuramente un passo avanti e i giovani ne sono convinti. Ma i giovani diventano uomini e pertanto fra mille anni si conoscerà ancora il significato della parola pace. Non vi è  certezza maggiore di questa.

Dalla guerra del Golfo a quella della Jugoslavia
Il Ricordo – Pensiero

L’ultimo decennio è nato all’insegna della guerra così come la fine degli anni ottanta lasciava intravedere all’umanità nuove speranze di un mondo diverso e più giusto.
L’alba degli anni novanta sorge dunque con la guerra del golfo, che ha impegnato quasi tutti i paesi del mondo sviluppando nuove alleanze, ma svegliando nel frattempo vecchie questioni di conflitti fra i popoli.
Negli ultimi mesi, mentre non si era ancora spento l’eco di quella guerra, partita con l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, stiamo assistendo ad una tragedia europea  che riguarda più specificatamente la Jugoslavia, la storia di un paese che si sta dividendo in più stati. Guerra dunque, come comune denominatore di questi primi anni novanta, frutto di ereditarietà storiche e remote spesso non molto lontane nel tempo.
Questo succedersi di conflitti nel mondo mi ha molto colpito per la diversità delle situazioni, ma anche perché noi tutti siamo coinvolti in maniera diversa.
Il conflitto in Jugoslavia avviene a due passi dall’Italia, ma pare non susciti forti emozioni anche se i mezzi di comunicazione, giornali e televisioni, ci informano di altri 30.000 morti, di bambini rimasti soli e di popolazioni stremate dal freddo e dalla fame. La vera ragione di questa diversità sta nel fatto che nel Golfo erano in gioco enormi interessi economici, su scala mondiale.
Tutti avevano un loro interesse per stare in gioco, perché il Kuwait era uno stato, indipendente e sovrano, attaccato ed aggredito da un altro paese.
La Jugoslavia è invece uno stato unitario, dove c’è una guerra civile, dove ogni intervento militare straniero in favore della Croazia, o della Serbia, non sarebbe ancora oggi giustificato.
Nel frattempo in Croazia e Serbia si continua a sparare, si continua a morire, perché forse in fondo da quelle parti non passano oleodotti, non ci sono pozzi petroliferi e alla comunità internazionale non vengono arrecati danni economici.
La televisione ci mostra immagini di sofferenza umana, coinvolta suo malgrado in un conflitto che probabilmente l’Europa avrebbe potuto prevenire evitando la tragedia ora in atto che mette in dubbio la dignità dell’uomo.
Ho letto dai quotidiani che sono morti molti bambini a Zagabria, a Ragusa, e in altre città slave, piccole e grandi ma le immagini dei loro volti innocenti, uccisi dall’odio degli uomini non ci sono state mostrate.
Pare quasi che queste atrocità debbano essere ignorate per non turbare la nostra serenità.
A questo punto non ci resta altro che la speranza di un futuro migliore, dove prevalga la volontà di pace fra gli uomini e dove le guerre siano evitate con un serio e continuo dialogo fra i popoli.Il 1992 è iniziato con forti segnali di distinzione e fra questi il più importante è stato il riconoscimento della Croazia e della Serbia da parte della Comunità Europea.
Si è aperto dunque un capitolo nuovo di dialogo fra i popoli, ma la speranza in noi è che gli ex padroni della fame e della guerra vogliano rettificare il corso della storia più recente facendo prevalere il diritto alla libertà culturale e alla autonomia dei popoli.

La fine della lira per far posto all’euro: era opportuno sottoporla a referendum
Il Ricordo – Pensiero

Articolo pubblicato sul quotidiano “Nuova Venezia”  in data 10 febbraio 2002 

Caro direttore,
le scrivo per discutere assieme sulla decisione di por fine al lungo cammino della lira da parte dell’Unione Europea per dar vita all’Euro. Non crede anche lei che la scomparsa della nostra moneta sia stata un lutto? Come la perdita di una doppia identità, quella individuale e quella collettiva: con lo Stato e la Zecca italiani che emettevano monete e banconote italiane per tutti gli italiani? A mio avviso chi sottovaluta il problema del distacco, della fine di un’epoca rischierebbe di non comprendere un evento emotivo, individuale e collettivo di grandissima portata.
Psicologicamente è come aver definitivamente abbandonato un codice di scambi, rassicurante espressione di una unità con altre persone, familiari e non, per accettare uno “sconosciuto”.  Non pensa anche lei che per introduzione di questo nuovo codice monetario ci volesse a suo tempo un referendum che fosse l’espressione democratica del voto popolare?Ora temiamo di ricevere  un  trattamento che mette a rischio le nostre sicurezze. È una novità che sembra impoverirci. Che sembra dividerci a metà, e poi diluire in centesimi, le tonde garanzie dei nostri prezzi. E poi diciamocelo pure, l’euro è una moneta scomoda e che ci fa temere di essere truffati. Si sente il peso di un funerale nel quale non si può perdere il controllo della situazione.
Vogliamo capire bene, sapere tutto, volgere la sfortuna di una nuova moneta così diversa dalla nostra – quasi una malattia – nel vaccino di un controllo che non consenta al “contagio” della paura per la morte della lira di non impossessarci di noi.
E abbiamo bisogno di verifiche, di conferme, di controlli, di rituali collettivi e collettivi, mentre non cessiamo di porci domande del tipo: “perché certi registratori di cassa hanno già eliminato il doppio prezzo lira-euro nel tagliandino fiscale?” Non è ancora tempo!
Per concludere volevo informare i suoi lettori che in questo mese sarà messa in vendita per i collezionisti l’unica moneta d’argento con il valore fiscale di mille lire che la Zecca ha stampato per il centesimo anniversario di Giuseppe Verdi e che riporta da un lato la sua effige e dall’altra una facciata del teatro la Scala.Dunque un addio patriottico, sulle note di “Va’ pensiero”. Addio lira Come diceva il poeta Cardarelli “la vita è mutevole tempo” e anche tu non ci sarai più ma mi mancherai tanto.

La bonheur ossia la felicità
Il Ricordo – Pensiero
…”La grande affaire est la seule qu’on doit avoir, c’est d’être heureux”(così scrive) de sa façon scrive Voltaire dans sa correspondance a’ M.me la Presidente de Bernère io penso che questa citazione è veramente, un buon punto di partenza per cercare di comprendere e analizzare questo complesso sentimento studiato da molti letterati di tutte le epoche, capace di scatenare rivoluzioni e cambiamenti. Cantanti, poeti, filosofi, psicologi hanno cercato di darci una classificazione, di trovarne l’essenza attraverso lo studio dell’anima umana, senza arrivare forse a comprenderne il vero significato. Io penso come il filosofo greco Epicuro che mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’animo nostro. Da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni ricordando e amando la felicità passata e da giovani per prepararci a non temere l’avvenire. Penso poi che si debbano tener presente quali fra i nostri desideri che sono fondamentali per la felicità e cioè solo quelli che, sono naturali mentre altri sono inutili per la felicità. Tra i necessari alcuni sono utili al benessere fisico, altri per la stessa vita. Una ferma conoscenza dei desideri fa ricondurre ogni scelta o rifiuto al benessere del corpo e alla perfetta serenità dell’animo al fine di allontanarci dai grandi nemici. Infatti si prova bisogno del piacere quando soffriamo per la mancanza di esso, quando questa bufera interna cessa arriva il bene dell’animo e del corpo. Certo è che non dobbiamo ritenere che il piacere sia l’unico principio e fine per una vita felice anche perché a volte da questo può venirci più male che bene. Come sostiene Fontanelle: Un grand obstacle au bonheur, c’est de s’attendre à un trop gran bonheur. Bisogna sentirsi indipendenti dai bisogni, molte volte l’uomo contemporaneo che vive in questa frenetica società dei consumi dice “Io non ho niente” poi se ci pensiamo meglio, la nostra coscienza ci dice: “Ma ti sembra niente”. I sapori più semplici come l’inebriante luce di un mattino che nasce, l’abbraccio di un amico, l’amore di una donna che ama solo te, il volto di un bambino, il mare, i mille colori del cielo,a  volte danno lo stesso piacere dei più raffinati. Se riusciamo a saper vivere anche di poco quando vivremo un’esistenza ricca… potremmo apprezzare meglio questa condizione. Sono concorde con la dottrina filosofica che afferma il piacere deve essere inteso come ciò che aiuta il corpo a non soffrire e l’animo a essere sereno. Un altro elemento indispensabile è l’intelligenza che ci aiuta a  comprendere che  non ci può essere vita felice senza che sia anche intelligente e viceversa. Infine appoggio l’idea che si debba pensare il nostro rapporto con la morte, dato che non siamo immortali. Dunque se siamo religiosi è meglio che crediamo in ciò che ci insegna il nostro credo e se non lo siamo bisogna pensare come scrive Epicuro che la morte non costituisce nulla per noi, dal momento che essa non è altro che l’essenza del godere e del soffrire, quando noi viviamo la morte non c’è e quando c’è non viviamo noi. A distanza di 2000 anni penso che questi  siano insegnamenti ancora preziosi e che in gran parte rispecchiano il mio pensiero. E se in periodi più remoti Paul Valery in Mauvais Pensieri et autre del 1941 affema che “la bonheur a les yeux feruvers” allora teniamoli aperti noi. Cos poi se dovessi definire la felicità con una metafora poetica direi che le bonheur è un cavallo bianco che non  suda mai.
 
Finalmente liberi: ma da cosa e perchè?
Il Ricordo – Pensiero

Alle soglie del 2000 l’uomo, si può considerare libero di esistere anche se condizionato da molti agenti esterni come per esempio la pubblicità e la moda, elementi essenziali di questo immancabile processo di influenza dell’informazione. Ma l’elemento essenziale per l’indipendenza di un uomo è l’essere liberi agendo nel più profondo rispetto verso gli altri e ne consegue che la libertà, è il primo fondamentale diritto individuale e collettivo scaturito dal principio di uguaglianza fra gli uomini. Così come ogni persona ha il diritto alla libertà, ogni nazione ed ogni popolo hanno diritto all’indipendenza politica e parecchi avvenimenti storici ci fanno ricordare il vero valore della libertà. Tra i tanti episodi che sono accaduti nella nostra società la ricerca dell’indipendenza da parte degli uomini contro tutto quello che loro stessi rappresentano è sempre presente, e questa situazione ha avviato una ricerca che continua, perché le ingiustizie si sviluppano con una tale rapidità e nei luoghi più impensabili, che fa ben poco sperare per un mondo diverso. La libertà, oltre che dimostrarsi la massima aspirazione di popoli sottomessi, rappresenta anche un modo di vivere, che rispetta gli altri e tende a far rispettare i propri diritti. Inoltre in tema di libertà bisogna saper distinguere tra quello che succede in paesi come il nostro, con una tradizione millenaria di cultura democrazia ed altri che l’hanno ottenuta di recente in seguito alle molteplici rivoluzioni come per esempio quelle avvenute nel 1989 con l’abbattimento del muro di Berlino e di conseguenza del comunismo in Europa. La libertà è dunque un valore primario al quale nessuno di noi può rinunciare, dal momento che questo bene non è  proprio sostituibile. Personalmente, ritengo che la libertà di opinione e tutte quelle espressioni che la nostra costituzione ha saputo esprimere, siano un elemento irrinunciabile per tutti noi cittadini e più semplicemente, anche nella mia vita di giovane quindicenne mi accorgo delle mie piccole libertà e dell’importanza che io ho dato ad ognuna di queste nella vita quotidiana. Potrei rinunciarvi? Credo proprio di no, credo che non sia possibile rinunciare ad una moltitudine di modeste libertà, a partire da quelle che noi giovani viviamo nell’ambito familiare. Un ambito, la famiglia dove però la lettura dei giornali  ci informa a volte nasce proprio la violenza nei confronti dei minori. Ed è per questo che, negli anni ’80, per salvaguardarne la libertà è nato il “Telefono Azzurro”, una associazione di volontariato, che tanto ha fatto parlare negli ultimi anni. D’altra parte credo sia proprio vero, come ho letto in un bel libro, che la libertà la meriti chi ogni giorno cerca di meritarsela.

Gioia, felicità, stupore, sentimento e sguardo
Il Ricordo – Il pensiero di Alvise
Diceva Orazio “Non sai quante cose ci sono in cielo”. E aveva sicuramente ragione ma come poterle individuare? Probabilmente consapevoli che la gioia ci viene dalla contemplazione e che la stessa è felicità e che la felicità è  poesia. Dunque è con ammirazione e  abbandono che noi contempliamo e  ritorniamo alla vita. E allora è fondamentale leggere e capire che la poesia è poesia, che il pensiero dura e la contemplazione si spegne, che ogni volta che qualcuno guarda qualcuno, si è pronti a rinascere un’altra volta. Capire inoltre come potrebbe la luce risplendere nell’occhio se l’occhio stesso non fosse luminoso? Capire che nel frammento c’è la vita, c’è l’Universo e che il frammento può essere un gesto, un suono, una voce o un profumo. E allora cerchiamo di capire il significato di alcune parole importanti nella collettiva comprensione della quotidianità come gioia, felicità, stupore, sentimento e sguardo.   Gioia Cosa è la gioia se non una sensazione di piacere diffuso suscitato dall’appagamento  di un desiderio o dalla previsione di una condizione futura positiva? Da questo punto di vista la gioia si contrappone alla tristezza caratterizzata da una visione negativa del futuro. Quando le condizioni che provocano la gioia si verificano indipendentemente dalle azioni del soggetto, tale emozione è accompagnata da stupore. Se si prescinde dalla connotazione temporale che interviene nell’abituale definizione di gioia, allora questa figura assume i caratteri descritti da B. Spinoza in ordine all’accoglimento  della necessità del tutto. Motivo, questo, ripreso in modo più radicale da E. Severino (Destino della necessità- 1980 pagg. 594-595) per il quale “ come superamento della totalità della contraddizione del finito, il tutto è la gioia. La gioia è l’inconscio più profondo del mortale.   Felicità E cosa è la felicità  se non  una condizione di benessere di rilevante intensità caratterizzata dall’assenza di insoddisfazione  e  del piacere connesso alla realizzazione di un desiderio? Nel suo nesso con il desiderio la felicità rivela il suo carattere circostanziale, cioè il suo legame  a condizioni di fatto complessive e transitorie da cui dipende anche la sua caducità. La felicità, oltre che al presente, può essere riferita al passato quando si associa ad uno stato trascorso, addolcito dal ricordo e reso estraneo dalla possibilità di venir contaminato da nuovi eventi, o al futuro come situazione limite, punto estremo della tensione che proietta l’uomo verso l’appagamento dei desideri e delle aspirazioni che accompagnano la sua vita. Accanto alla nozione di felicità come pura e semplice soddisfazione del desiderio è andata storicamente affermandosi una nozione che, connettendo la felicità alla virtù e alla saggezza, approda all’idea di una felicità collettiva, sociale e culturale, risultante dal giusto equilibrio tra desideri e dati di realtà, con conseguente analisi del sistema di piaceri e del loro funzionamento complessivo nell’ambito delle relazioni che legano l’uomo ai suoi simili. L’idea che la condizione umana esiga una dialettica di dolore, sforzo e impegno per far giungere a tale equilibrio, inserisce la nozione di felicità nello spazio teorico in cui si compenetrano pubblico e privato, politica e morale. Questo passaggio è così segnato  da S. Freud:  Se la civiltà impone sacrifici tanto grandi non solo alla sessualità ma anche all’aggressività dell’uomo, allora intendiamo meglio perché  l’uomo stenti a trovare  in essa la sua felicità. Di fatto l’uomo primordiale stava meglio perché ignorava qualsiasi restrizione alle proprie pulsioni. In compenso la sua sicurezza di godere a lungo di tale felicità era molto esigua. L’uomo civile ha così barattato una parte della sua possibile felicità per un po’ di sicurezza”. Stupore Credo sia giusto definire lo stupore come uno stato psicopatologico caratterizzato da un rallentamento psicomotorio, da un pensiero improduttivo e da un comportamento passivo associato ad un donubilamento della coscienza ed a una inibizione delle capacità volitive. Lo stupore non costituisce una sindrome unitaria, ma la forma esteriore di diversi stati interiori come apatia, inibizione, angoscia, torpore, perplessità. Si manifesta nelle psicosi organiche, negli stati confusionali della schizofrenia, nelle depressioni endogene e nell’isteria.   Sentimento Altro termine usato spesso e forse mai compreso bene per l’importanza che ognuno dovrebbe dare al significato  di questa risonanza affettiva meno intensa della passione e più duratura dell’emozione, con cui il soggetto vive i propri stati soggettivi e gli aspetti del mondo esterno.  Il sentimento è stato oggetto di analisi  e di considerazioni specifiche nell’ambito della psicologia del profondoNel campo della fenomenologia i contributi più significativi sono quelli di M. Scheler che partendo dal motivo pascaliano secondo cui “il cuore ha ragioni che la ragione non conosce”, rivendica uno specifico tratto conoscitivo della dimensione sentimentale che consiste nel modo di apprendere, acquisire atteggiarsi di fronte ad uno stato emotivo . Inoltre mentre lo stato emotivo ha un legame casuale con l’evento che ha prodotto, il sentimento è originariamente aperto al suo oggetto che è il valore dell’evento, per cui soffriamo di non poterci rallegrare quanto il valore dell’evento meriterebbe, o viceversa.  Prima di qualsiasi morale, religione e filosofia, il sentimento intuisce i valori che si distribuiscono in una scala promossa dai sentimenti connessi con la percezione come il piacere e il dolore, dai sentimenti vitali come la pienezza, il vuoto interiore, la tensione, dai sentimenti animici come l’amore l’odio, la gioia, la tristezza e sai sentimenti spirituali relativi al senso dell’esistenza e del mondo, come la speranza, la disperazione, la beatitudine, l’estasi. Anche M. Heidegger coglie nella situazione affettiva una caratteristica ontologica dell’esistenza umana in cui si esprime la tonalità emotiva con cui l’uomo è aperto al mondo. La situazione affettiva “non solo caratterizza ontologicamente l’Esserci ma, in virtù del suo aprire, assume una importanza metodica fondamentale per l’analitica esistenziale”. La situazione affettiva designa quel “trovarsi lì” dell’uomo nella sua apertura al mondo, che è una apertura sempre sentimentalmente determinata. Ciò che in sede ontologica designiamo con l’espressione “situazione emotiva” è anticamente noto nella quotidianità sotto il nome di tonalità emotiva , umore.   Sguardo Infine nello sguardo vedo la forma più interessante e fondamentale di interazione tra gli esseri umani a partire dai primi stadi della vita. Quando, dopo poche settimane prende avvio la relazione madre-bambino. I segnali trasmessi dallo sguardo, pur essendo differenziati da cultura a cultura, esprimono il mondo delle emozioni e delle intenzioni, a partire da quelle più semplici, come le forme di avvicinamento, fino alle più complesse che danno espressione all’amore e all’odio. In ambito fenomenologico lo sguardo è stato considerato come la forma originaria dell’essere per altri in quel gioco della soggettività dove lo sguardo, come scrive J. P. Sartre è la fonte di ogni oggettivazione” prima di tutto, lo sguardo altrui come condizione necessaria alla mia obiettività , è distruzione di ogni obiettività per me. Lo sguardo altrui mi raggiunge attraverso il mondo e non è solamente trasformazione di me stesso ma metamorfosi totale del mondo. Io sono guardato in un mondo guardato. Lo sguardo altrui nega le mie distanze dagli oggetti e dispiega le sue distanze. Dallo sguardo Sartre fa discendere la vergogna, il pudore, lo spazio delle possibilità dell’esistenza, e l’essenza nascosta del potere.
Giovani Cresimandi e Disagio giovanile
Il Ricordo – Pensiero
In questo periodo “pre-Cresima” la nostra educatrice del gruppo “Milena 92” ci ha dato molte informazioni sulla Chiesa e sul significato di questo particolare appuntamento della nostra vita. Ma, a mio parere, l’aspetto più importante è che Milena ha cercato di aiutarci a leggere ed interpretare la quotidianità, proprio sulla nostra condizione di giovani nella società, nella scuola , nella comunità e nella famiglia. Noi tutti sappiamo che la società in cui viviamo, e che si avvicina velocemente alla soglia del ventunesimo secolo, è consapevole del proprio processo di sviluppo dettato da una avanzata tecnologia, ma in questo contesto noi giovani avvertiamo l’esigenza di sentirci utili, in una società dove vi è spesso incomprensione e indifferenza ai problemi della quotidianità. Certamente vi è anche una volontà di gioire per una giornata di sole, di saper ascoltare il rumore del vento invece che misurare l’intensità della luce o i decibel del traffico urbano. Per i giovani d’oggi c’è dunque desiderio di ritrovare una genuina espressione di vita che probabilmente si va sempre più perdendo. Si può dire che molti sono rinchiusi in vere e proprie gabbie dorate spesso lontane dal mondo reale in contrapposizione alle persone più anziane che non comprendono gli atteggiamenti, l’abbigliamento, il linguaggio, la musica moderna, il modo diverso d’intendere i valori tradizionali, l’amicizia quant’altro sia espressione di un rapporto con la società. Cari lettori non meravigliamoci, sono queste le generazioni educate da molte ore di televisione quotidiana, nelle cui famiglie i genitori lavorano entrambi e il tempo di parlare non c’è mai. Questa mancanza di comunicazione è probabilmente la vera malattia di questi anni e a questa mancanza i giovani sopperiscono con la voglia di ritrovarsi, oggi in comunità, domani in discoteca, poi allo stadio e via via nei veri templi dell’aggregazione giovanile. Tutti insieme, sconosciuti, per liberarsi, in parte dell’ansia e dal disagio di non riuscire a “comunicare” in un mondo che ne ha oggi più bisogno di ieri. Quindi per il pianeta giovani, musica e sport, si possono definire valori “liberatori”, proprio perché non si è protagonisti ma spettatori. Probabilmente a molti piacerebbe rimanere così per sempre, non crescere dunque, ma continuare a vivere nel mondo dei sogni e del divertimento, dove la vita è espressione di gioco, felicità e speranza. Ma la realtà, la “quotidianità” esprime anche valori di impegno sociale dove i giovani danno il loro contributo parlando di mafia, droga e violenze, cercando di aiutare quanti fra loro sono oggetto di queste insidie dei nostri tempi, alla ricerca dei valori positivi improntati sulla fiducia in se stessi, alla voglia di maggior sicurezza, di allegria e felicità, di amore e di preciso riferimento ad una ideologia concreta di vita. Per concludere noi giovani “Cresimandi” dobbiamo ringraziare la nostra comunità, le nostre famiglie e la nostra educatrice, per il continuo impegno nei nostri confronti, certi che questo loro aiuto continuerà anche dopo la Cresima,  permettendoci di recuperare sempre più quei valori che potranno darci maggiori certezze per un futuro migliore.
Gli spettri del passato nell’Europa che cambia
Il Ricordo – Pensiero

In questi ultimi giorni di travagliate settimane internazionali, la Germania è apparsa su tutti i giornali del mondo a causa dell’antisemitismo e della xenofobia. La violenza e l’intolleranza hanno reso il bilancio delle vittime sempre più alto fino a raggiungere cinque morti in dieci giorni. Una situazione spaventosa che fa riapparire, nella quotidianità, spettri del passato. Dunque, i tedeschi continuano, con le svastiche, le teste rasate e gli inconfondibili tatuaggi, a proporre al mondo intero morte e distruzione come cinquant’anni fa. Il nazismo moderno, se così si può definire, mostra i suoi aspetti più aggressivi,  gelidi e funerei con crani rasati e vuoti, concetti e memoria. Organizzazioni di persone malvagie definite “naziskin” fanno nascere negli uomini onesti la necessità di intervenire con urgenza per debellare un fenomeno preoccupante, in quanto già conosciuto dalle generazioni che ci hanno preceduto ed individuato nella storia come l’espressione peggiore del nostro secolo. Pare che, in Europa, ogni nazione sia destinata a riaprire la storia di un atroce passato, che si raffigura nella voce della violenza mietendo vittime fra gli ebrei, cercatori di asilo politico provenienti dall’Est e, ultimamente, anche dalla Turchia. A Roma sono pochi gli atteggiamenti simili che si sono manifestati, ma l’intolleranza comincia a far nascere paura e tensioni sociali, come a Parigi dove si moltiplicano le scritte contro gli ebrei. Pare che vi sia una vera e propria tendenza di ogni nazione a non lasciare in pace persone innocenti  che nulla di male hanno operato nei confronti di tedeschi, francesi e italiani. Che fare dunque? Riterrei necessaria l’applicazione di punizioni esemplari per bloccare in tempo questo fenomeno e se le leggi in vigore non sono sufficienti bisogna adeguarle, perché è in gioco il futuro della democrazia non solo in Italia ma in tutta Europa. Si dovrebbe pertanto intervenire, prioritariamente, nell’educazione di noi giovani e nei programmi scolastici. Comunque, sembra  che dietro alle perfide e incivili manifestazioni dei naziskin vi sia un movimento estremista che vuol riportare il nazismo in Germania e nel nord Europa. Abbattuto il muro, i fantasmi dell’Europa “Irrazionale” sono tornati in circolazione. Questi giovani nazisti, non avendo la memoria storica per ricordare il passato, e ragionando in termine di “crociata” sono profondamente convinti di imporre le loro idee la loro cultura, la loro patria, solo con l’intento di eliminare l’avversario e di distruggerlo poi con la forza a qualsiasi costo, anche con la morte. L’estremismo del pensiero comporta sempre l’esplosione dell’irrazionale, fino a diventare razzismo, antisemitismo, xenofobia. Naturalmente, a causa di questi scellerati naziskin, oggi vi sono molti che credono di controbattere alla cultura dell’intolleranza e dell’odio. Per fortuna, la maggioranza della gente non è così, molto probabilmente crede in valori basati sulla giustizia, l’onestà e il rispetto verso il prossimo. Dunque, basterebbe una legge applicata con rigore per soffocare sul nascere queste nuove forme di “estremismo” che si colora di nero e si rapa la testa. Una brutta immagine per l’Europa che cambia e che nulla ha a che vedere con l’intelligenza degli uomini che stanno costruendo un mondo che si fonda su rapporti politico sociali nuovi. Tolleranza, dunque, e non divisione per avviare un diverso processo di stabilità fondato sulla ragione e sulla cultura che i popoli di diverse nazioni, religioni e ceti sociali stanno dimostrando di voler esprimere.

La condizione degli anziani nella società moderna
Il Ricordo – Il pensiero di Alvise

La società in cui viviamo è giunta ormai alle soglie del 2000, portando con se tutti quei valori positivi e negativi, che si possono ben vedere in gran parte del mondo occidentale. Se da un lato, lo sviluppo del progresso, dell’industrializzazione e l’aumento della ricchezza media per ogni cittadino, hanno determinato una parallela crescita del benessere generale, è evidente che diverse e tangibili problematiche, spesso incontrollabili, affliggono il mondo contemporaneo. Droga, povertà, malgoverno, diminuzione dei valori di riferimento, sono solo alcuni degli argomenti che riempiono assiduamente le pagine dei quotidiani e danno lavoro ai cosiddetti opinionisti del dolore. Negli ultimi tempi ho avuto modo di leggere molte storie di anziani che vivono in uno stato di disinteresse generale, emarginati dal tessuto sociale e abbandonati al proprio destino. In merito, credo sia dovuta una riflessione, su chi sono gli anziani. A che età lo si diventa, cosa può pretendere un anziano dalla società e cosa un uomo può ancora dare alla collettività, a chi e in che modo?I temi sono molti e per fortuna i sessantenni, quelli che fino a pochi anni fa erano considerati anziani, oggi non lo sono più, proprio perché grazie al benessere generale, vivono nel pieno delle loro forze, spesso ben inseriti nella realtà quotidiana, del lavoro e della famiglia,  tanto che la loro esperienza è di fondamentale sostegno allo sviluppo del paese. Dunque il problema si è spostato negli anni, in quanto la vita media si è allungata ed i cittadini che hanno superato i 70, se non gli 80 sono sempre più numerosi e si trovano ad affrontare da  soli le molteplici carenze assistenziali, economiche, previdenziali, ed affettive, che la nostra arida società non ha saputo affrontare. Carenze quindi generate dall’evoluzione della società sempre più attenta a chi produce ricchezza e sempre meno disponibile a sostenere il prossimo che non può produrre e che ha poco, in tutti i termini, per consumare.Fino a pochi decenni fa gli anziani vivevano nell’ambiente famigliare per tutto l’arco della vita mentre oggi molti, i più fortunati, vengono accolti in case di riposo: un eufemistico “modo di dire” per intendere più in sintesi  solitudini poste l’una accanto altra mentre per i più disagiati, e sono la maggioranza, non vi è né il calore della famiglia né il sollievo di essere custoditi in una collettività. Questo radicale mutamento è il frutto dei tempi, di una società, che vinta dal ritmo del successo e dal superamento dei valori passati, trascura quelli più tradizionali. Gli uomini, pertanto, hanno dimenticato il concetto di sacrificio , inteso nel suo più nobile significato, facendosi loro stessi portavoce di un’etica e di una cultura edonistica, che mira in particolar modo a premiare il consumismo e la incommensurabile ricerca del piacere materiale. Purtroppo, nel nostro paese, sono molto carenti le strutture sociali, che spesso non si rilevano confacenti alla mena accoglienza della popolazione della cosiddetta “III” età, un dato sconfortante, visto che oggi un italiano su cinque ha superato i 60 anni. Quindi vi è innanzitutto il predominare di una lenta e progressiva emarginazione,  dolorosa e reale che è di origine interiore e deriva dal fatto che nessuno, si pone in ascolto di queste persone. Questa deleteria situazione fa si che essi non riescano ad esprimere i loro sentimenti, portandoli verso un mondo dove l’ansia, la paura e la solitudine sono gli elementi predominanti di questa tragica condizione di vita. Capita spesso di incontrare nelle città, dei volti scavati spesso sofferenti che camminano lentamente per le strade più tranquille, facendo intravedere una forte malinconia, costernati da un’aria mesta ben rappresentando una rassegnazione evidente e un senso di calma apparente. Ecco per me questi sono i veri anziani, uomini che superata la soglia dell’ottantesimo anno d’età hanno la consapevolezza di avere pochi anni a disposizione, ma anche la certezza di pensioni modeste sempre più taglieggiate da uno stato ingrato, di una salute fisica in continuo declino evidenziando così un universo sconosciuto a tanti ma che è quotidianamente davanti ai nostri occhi. Allora credo sia necessario documentarsi sulla situazione degli anziani, cercando di comprendere le loro molteplici esigenze e, aiutandoli quindi dove possibile a recuperare quanto di buono c’è ancora in loro, a svolgere un ruolo attivo nella società a favore di altri più bisognosi, assistendoli non solo nei casi di inidoneità fisica, ma ancor di più dove necessitano la parola, l’affetto e la compagnia. Tutti questi comportamenti devono essere una regola di vita per ognuno di noi, proprio per tutelare il nostro futuro e dare un insegnamento alle generazioni che verranno. La famiglia dovrà riappropriarsi del proprio ruolo e i governi dovranno ridistribuire la ricchezza e gli aiuti sociali durante tutta la vita dei cittadini. Certo è che se la storia degli antichi popoli ci ha tramandato questi valori,  una nazione civile e libera come la nostra ha il dovere etico e culturale di rispettarli.

La nascita della nuova Russia
Il Ricordo – Pensiero

In questi giorni tanti avvenimenti e fatti di cronaca hanno lasciato il 1991 e quello fra questi che mi ha colpito maggiormente è stato il voltar pagina nella storia dell’U.R.S.S., la bandiera rossa è stata definitivamente ammainata dal Cremlino e il premier Sovietico ha dato le sue dimissioni. Questo è stato un fatto molto importante a livello mondiale, un avvenimento che chiude un’era e ne inizia un’altra. Durante il corso di quest’ultimo decennio un elemento rivoluzionario è nato in Russia la perestroika, che vuol dire cambiamento. Essa è iniziata nel 1985 quando Gorbaciov viene eletto alla guida del Pcus, all’indomani della morte di Costantin Cermenko, egli ha 54 anni ed è il più giovane del partito dai tempi di Lenin; questi sono i primi segnali di una spinta di rinnovamento che a fine anno per la prima volta nella storia del popolo sovietico, trovano la conferma nel primo vertice tra il presidente degli Stati Uniti Ronald  Regan e lo stesso Gorbaciov a Vienna. Un dialogo dunque che avvia alla fine della guerra fredda e le trattative del disarmo, trattative che si concluderanno a Washington l’otto dicembre dell’87 con l’accordo sugli euromissili. La storia della vecchia Unione Sovietica si è modificata anno per anno cambiando etiche sociali, dando ai cittadini una voglia incredibile di pace e libertà. A distanza di quattro anni, a luglio dell’anno scorso, con il presidente americano Bush, Gorbaciov firma il trattato per la riduzione degli arsenali strategici. Una nuova posizione quella dell’Unione Sovietica che permetterà agli Stati Uniti l’intervento unilaterale contro l’Irak nella guerra del Golfo. Gli obbiettivi politici del presidente all’interno del paese intanto si sono fatti chiari e vengono riassunti nelle due parole chiave: “perestroika”, cioè ristrutturazione, e “glasnost” trasparenza. In questi ultimi anni all’interno del governo russo si è cercato di separare stato e partito introducendo al “pluripartitismo” e rifondando il partito comunista. Nonostante la popolarità crescente dentro, ma soprattutto fuori dal paese, la contrapposizione alla riforme di Gorbaciov prima sotterranee e poi sempre più aperte lo costringono ad una serie di mediazioni sulle riforme economiche, mediazioni che cominciano a sollevare le critiche dei democratici. Nell’88 un’U.R.S.S. ormai più evoluta riguardo il sistema politico si trova per la prima volta ad affrontare il problema dei conflitti etnici fra Armeni ed Azzeri, e l’impennata nazionalista dei paesi Baltici  che nel 90 uno dopo l’altro proclamano l’indipendenza. L’89 è comunque l’anno di maggior popolarità di Gorbaciov e la stessa Russia, la caduta del Muro di Berlino ne fa il simbolo di una nuova era di libertà all’est. Nello stesso anno è eletto presidente dei Soviet e segretario del suo partito, ma le riforma economiche Russe alla faccia dell’Europa procedono a rilento e il paese va verso il collasso. Cresce la disperazione e la povertà che culmina nel 90 con le dimissioni del Ministro degli Esteri Eduard Schevarnoz. Dalla lettura dei giornali e dai vari notiziari  televisivi possiamo capire che Gorbaciov ha scelto la strada del cambiamento assoluto tra le vecchie strutture totalitarie e i nuovi democratici radicali; questo modo di far politica tanto apprezzato in Occidente gli giocherà il consenso all’interno del paese. Il colpe di agosto conobbe come protagonisti tutti gli uomini scelti ai vertici da lui. Il golpe si rovescia contro l’ex leader del cremino, ed anche se estraneo al colpo di stato, da questo momento ha perso molti poteri, quanto basta a Boris Eltsin, eletto nel frattempo presidente della Repubblica Russa per subentrare nella leadership. Michail Gorbaciov non è stato uomo del Partito Comunista, non dei radicali democratici, non dell’esercito, ne del KGB, per questo nonostante sia stato protagonista di una svolta storica senza precedenti, oggi nell’ex unione sovietica non si sprecano i rimpianti. Il nuovo capo Boris Eltsin possiede ora la cosiddetta “valigetta nucleare”, il bottone nucleare sarà uno e la eventuale decisione sarà presa a quattro con i presidenti delle altre potenze nucleari. Gli accordi atomici di Alimatha piacciono alla stragrande maggioranza dei deputati della Repubblica che con l’anno nuovo si chiama Russia, né Sovietica, né altro Russia e basta In una comunità di stati senza presidenti, ognuno è sovrano e si deve arrangiare, questa filosofia porta al ritiro annunciato di ciò che resta dell’Armata rossa dalla principale zona di crisi dell’ex unione: la Georgia. Cosciente infine di dover pure qualche cosa all’immediato riconoscimento occidentale, Boris Eltsin garantisce che non passerà un solo secondo senza controllo delle 30.000 atomiche ex sovietiche. Ora tutti noi speriamo che la Russia si riprenda e possa competere col mondo intero, perché una nazione ricca di terra, petrolio, gas, carbone, metalli preziosi e di intelligenza, con talenti di molti, dunque a mio parere non può e non deve rimanere povera.